Storia delle startup negli USA

Le tante startup nate negli ultimi anni, alcune delle quali di enorme successo commerciale, hanno avuto molti effetti sul modo di approcciare all’economia. Hanno cambiato il modo di vedere il mercato, il modo di intendere la realtà aziendale ed hanno influenzato il modo di rapportarsi, soprattutto dei giovani, al lavoro. In generale, le startup sono divenute un fenomeno sociale articolato. I nomi dei fondatori delle più riuscite startup vengono presi ad esempio da migliaia di ragazzi in tutto il mondo ma, soprattutto, l’ecosistema startup, dove realmente esiste, si è dimostrato un potente volano dell’economia.

Quello che forse è più interessante per questo blog, parlando delle startup, è che queste particolari aziende stanno cambiando il modo di intendere la comunicazione ed il marketing online. Le tante pratiche, modalità di approccio, riflessioni ed analisi nate nel contesto del web marketing per startup vengono etichettate con un termine molto efficace – growth hacking – che anche noi abbiamo iniziato ad utilizzare da qualche anno.

Per comprendere il growth hacking dobbiamo almeno affacciarci nell’ingarbugliata storia delle startup che, come è noto, si sono sviluppate fondamentalmente negli Stati Uniti. Mi appoggio in questo tentativo di ricostruzione al saggio The Origin and Evolution of New Businesses di Amar Bhidé.

Un cambio di mentalità, il ritorno degli imprenditori

Con una certa approssimazione si può dire che l’economia degli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti è trainata da alcune grandi società estremamente organizzate e guidate da gruppi di manager professionisti. Il capitalismo americano è un capitalismo maturo ed organizzato. Le grandi società in quegli anni sono ormai dei piccoli imperi multinazionali che richiedono una gestione strategico-amministrativa di alto livello che viene affidata a manager professionisti in grado di districarsi tra le mille difficoltà dei mercati globali grazie anche ad una preparazione accademica adeguata.

Confrontando questi ‘super manager’ con i volti storici del capitalismo americano di fine ‘800 ed inizio ‘900 delle differenze balzano subito all’occhio. Sintetizzando si potrebbe dire che la figura dell’imprenditore viene sostituita, almeno parzialmente, da quella del manager.
Nel corso degli anni i fondatori storici di alcune grandi società perdono peso all’interno dell’organizzazione aziendale mentre il management si struttura e si articola in modo capillare.

Se l’evoluzione capitalistica – il “progresso” – cessa o diviene completamente automatica la base economica della borghesia industriale finirà a ridursi a stipendi come quelli pagati per il lavoro amministrativo corrente […].
Poiché l’impresa capitalistica, per le sue stesse realizzazioni, tende ad automatizzare il progresso, concludiamo anche che tende a rendersi superflua – a sfasciarsi sotto la pressione delle sue stesse conquiste. La unità industriale gigante perfettamente burocratizzata […] soppianta in definitiva l’imprenditore ed espropria la borghesia, come classe destinata a perdere tanto il suo reddito, quanto (molto più importante) la sua posizione.
J. Schumpeter, Capitalismo, Socialismo e Democrazia [1942], Etsalibri, 1994, p. 130.

citazione Schumpetert

Queste ‘unità giganti perfettamente burocratizzate’ hanno, come è noto, trasformato radicalmente la società e portato ad una crescita economica senza precedenti.
Tuttavia, come intuisce Schumpeter, l’innovazione sembra perdere parte della sua spinta propulsiva degradandosi a routine amministrativa e la figura dell’imprenditore, il grande ‘capitano di ventura’ intraprendente ed ambizioso, vive un periodo di crisi sia nell’immaginario collettivo che nella pratica aziendale.
I nomi degli imprenditori delle grandi industrie americane della prima metà del Novecento sono noti a tutti, Ford, Rockfeller, Guggenheim…Negli anni Sessanta i manager delle grandi aziende, ormai multinazionali, sono spesso quasi sconosciuti.

Già negli anni Sessanta le cose iniziano però a cambiare. Il capitalismo d’impresa non è morto ed anzi negli anni successivi si dimostrerà fortemente radicato nella mentalità americana.

Interessanti sono alcune ricerche sulle facoltà e sui corsi più richiesti dagli studenti delle più prestigiose università americane. La crescita delle grandi imprese americane con gestione ‘manageriale’ ha influenzato, come era facilmente ipotizzabile, la formazione universitaria. Nel 1956, 138 istituti degli Stati Uniti garantivano 4.266 Master’s degrees in ‘business’. Nel 1990 erano saliti a 77.203 Master proposti da 668 istituti (Tedlow et al., 1992). Nello stesso periodo anche i Bachelor Degree (approssivamente, lauree triennali) salirono da 50.000 a 250.000.
Tuttavia già nel 1963 Charles Orth nel suo libro Social Structure and learning climate: the first year at Harvard Business School sottolinea come solo il 55% degli studenti desiderasse intraprendere una carriera amministrativa.

Sembra incrinarsi, nel corso della seconda metà del Novecento, una certa visione delle grandi aziende tradizionali. Non necessariamente ‘grande’ significa bello.
Durante la recessione del 1957 quasi nessuna delle grandi aziende americane venne scalfita economicamente, cosa che colpì molto l’immaginario collettivo. Nella recessione del 1982 invece 8 delle prime 100 industrie americane, e 21 delle prime 200, chiusero l’anno in rosso.
Nel 1979 David Birch pubblica uno studio da cui risulta che il 66% dei nuovi posti di lavoro viene creato da piccole imprese. Sempre nel 1979 viene fondato “Inc. – the magazine for growing companies” che negli anni arriverà ad avvicinare la tiratura di Forbes, Business Week e Fortune.

Cosa stava accadendo negli Stati Uniti? Le startup stavano diventando il nuovo punto di riferimento, economico e ideologico, per tantissimi giovani, inclusi gli studenti universitari. La vitalità delle startup, ed in particolare la capacità di alcune di esse di creare lavoro in tempi rapidi, attrae negli Stati Uniti l’attenzione della classe politica e delle istituzioni che agevolano la nascita di un ecosistema favorevole alla loro proliferazione.

Il successo delle startup ha riportato in auge la figura dell’imprenditore, un giovane ed intraprendente imprenditore, spesso con formazione accademica, in grado di innovare il mercato. Un tipo di imprenditore sicuramente diverso rispetto a quello di fine Ottocento, ma comunque un imprenditore, non un manager.

La nascita della Silicon Valley

Questo cambiamento di mentalità si intreccia con la storia della Silicon Valley, l’esteso lembo di terra nella parte meridionale della baia di San Francisco comprendente la valle di Santa Clara e la parte sud dell’East Bay, celebre per la grande concentrazione di società high-tech. Il nome viene coniato dal giornalista Don C. Hoefler nel 1971 ma la storia della famosa baia inizia parecchi anni prima.

Silicon Valley

L’iniziale sviluppo dell’area incomincia negli anni ’50 grazie ad un riuscito progetto dell’Università di Stanford. Nel 1950 l’Univeristà di Stanford, oggi una delle più prestigiose al mondo, viveva un periodo non propriamente roseo dal punto di vista economico. Decide quindi di sfruttare alcuni terreni di sua proprietà a Palo Alto.

Il progetto è guidato da Frederick Terman che con il sostegno dell’Università realizzerà un parco, lo Stanford Industrial Park (l’attuale Stanford Research Park), fortemente orientato alle nuove tecnologie ed alla collaborazione tra industrie hi-tech ed insegnamento universitario.
La prima industria a trasferirsi a Palo Alto è Varian Associates, azienda molto legata alla Stanford University. L’azienda ‘affitta’ per novantanove anni dieci acri di terreno all’interno dello Stanford Research Park per 41.000 dollari. La stessa formula (ma con prezzi via via crescenti) viene poi adottata per le aziende che successivamente decidono stabilirsi nel parco attirate dall’abilità di Terman, dalla bellezza dei luoghi, dall’atmosfera creativa in cui lavorano i dipendenti e dagli stretti legami di collaborazione sia con le altre aziende che con le istituzioni universitarie.

Varian viene seguita a breve dalla HP (fondata da due ingegneri elettronici allievi di Terman, Bill Hewlett e David Packard).
Nel 1955 Terman riesce a portare nel Research Park William Shockley, premio Nobel, assieme a John Bardeen e Walter Houser Brattain, per l’invenzione del transistor. L’azienda di Shockley non ha fortuna eppure contribuisce in modo determinante allo sviluppo della Silicon Valley. Nel 1980 circa 50 aziende di semiconduttori erano direttamente riconducibili alle attività di Shockley.

E’ del 1963 la famosa relazione di Lickider per un convegno a Palo Alto, Members and Affiliates of the Intergalactic Computer Network. Una visione originale e, al tempo, futuristica che si evolverà nel progetto ARPANET, il progenitore di internet.

Come è noto il web nasce negli anni Novanta. Il 30 aprile 1993 il CERN rende pubbliche le tecnologie alla base del web permettendo così a chiunque di implementare e sviluppare la rete internet. Negli anni Novanta la Silicon Valley è in pieno fermento ed ha compiuto molta strada seguendo i primi passi di Terman: è ormai un ecosistema consolidato in grado di sfruttare appieno le potenzialità del web.
Larry Page e Sergey Brin, due studenti dell’Università di Stanford, fondano Google il 4 settembre 1998.

Le startup che iniziano a sfruttare le potenzialità del web, già negli anni Novanta, sono innumerevoli e la Silicon Valley diviene l’ecosistema trainante di questo nuovo settore dell’economia.

Se hai seguito questo articolo, probabilmente ti stai chiedendo “cosa significa ‘startup’ oggi?“.

Guida al Growth Hacking

  1. Storia delle startup negli USA
  2. Cosa significa startup?
  3. Lean Startup Movement: come gestire una startup
  4. I 5 principi delle Lean Startup
  5. Le fasi di vita di una startup
  6. L’Italia e le startup: diffusione e normativa
  7. Le ‘lettere rubate’ del web marketing: le premesse del marketing della crescita
  8. La legge dei click-through di merda
  9. Web marketing per startup: la storia del growth hacking
  10. Che cos’è l’hacking della crescita?
  11. Gli strumenti del Growth Hacker
  12. La metrica fondamentale del growth hacking: il tasso di crescita
  13. Marketing della crescita: tattiche, strategie e teorie
  14. Il nucleo del Growth Marketing. Il coefficiente virale