I 5 principi delle Lean Startup

We are living through an unprecedented worldwide entrepreneurial renaissance, but this opportunity is laced with peril.

Stiamo vivendo in un rinascimento imprenditoriale senza precedenti al mondo, ma questa opportunità è strettamente legata al pericolo.

1. Gli imprenditori sono ovunque.

Per Eric Ries chiunque lavori in una istituzione umana pensata per creare nuovi prodotti e servizi in condizione di estrema incertezza è un imprenditore.
Ciò significa che Ries considera imprenditori anche chi fonda piccole aziende o lavora per enti pubblici.

2. Imprenditoria è management.

Si è soliti differenziare il lavoro dell’imprenditore ‘puro’ rispetto a quello del manager. Il rapporto tra queste due figure è cambiato più volte, tuttavia oggi, negli USA, si tende a vedere il fondatore di startup come un imprenditore innovativo, talvolta geniale, inserito in un esaltante contesto di ricerca e progresso. Al contrario il manager, in modo molto diverso rispetto a qualche anno fa, viene spesso considerato un lavoratore d’ufficio, un amministratore che svolge un lavoro noioso e burocratico.

In questo contesto il secondo principio di Ries ha quindi suscitato un grande interesse. Il punto è che Ries considera la startup una attività, una istituzione, non solo un prodotto. In quanto attività imprenditoriale strutturata e di lungo periodo la startup richiede perciò una gestione.

3. Conoscenza validata (Validated learning).

Le startup non sono macchine per far soldi. Sono delle strutture costruite per imparare come costruire dei business sostenibili. L’apprendimento deve venir validato da continui esperimenti che servono agli imprenditori per testare ogni elemento della loro visione. Si tratta, nella visione di Ries, del passaggio dall’alchimia alla scienza delle startup.

4. Costruisci-Misura-Impara (Build-Measure-Learn).

Il Build-Measure-Learn è un processo circolare e continuo che costituisce l’attività fondamentale di una startup. Una startup trasforma idee in prodotti, misura come i clienti rispondono a questi prodotti e da ciò capisce se conviene perseverare o correggere la propria rotta.

5. Innovation accounting.

Con questa espressione Ries intende un insieme di pratiche pensate per misurare i progressi fatti, trovare i punti focali del proprio business e capire a cosa dare la priorità nel proprio lavoro. Una specie di ‘contabilità dell’innovazione’.

MVP (Minimum Viable Product)

At its heart, a startup is a catalyst that transforms ideas into product. As customers interact with those products, they generate feedback and data. The feedback is both qualitative (such as what they like and don’t like) and quantitative (such as how many people use it and find it valuable).

Il Minimum Viable Product (MVP) è una delle più originali intuizioni proposte da Ries. Sempre raccontando delle vicende di IMVU l’autore spiega di come il punto di svolta dell’azienda è stata la decisione di lanciare sul mercato una versione minimale del prodotto. Una versione terribile, piena di bug e che, racconta ironicamente Ries, non di rado faceva andare in crash i computer dei clienti. Un’operazione che farebbe rabbrividire gran parte dei programmatori.

Tuttavia, l’operazione si è rivelata vincente.

Il team di sviluppo di IMVU, grazie alla messa online di un MVP, ha infatti avuto a disposizione dei dati reali su cui lavorare, forniti da veri clienti e non da indagini statistiche.
Una volta aperta al pubblico, la piattaforma di IMVU viene sottoposta a continui interventi tecnici che vengono considerati non delle migliorie, ma dei test. I test smentiscono spesso le convinzioni più radicate, e spesso molto ragionevoli, fatte dal team.

Ogni piano di marketing si basa su una serie di convinzioni, di assunti, che, per quanto sensate, spesso non corrispondono al vero. Ogni assunto va dimostrato e per dimostrarlo il modo migliore è avere a disposizione dati reali forniti dal comportamento di veri clienti.

Il cambiamento rispetto all’impostazione tradizionale è significativo. Ciò che conta, seguendo un approccio Lean, non è tanto la qualità iniziale del prodotto né i risultati economici ottenuti o le nuove funzioni sviluppate ogni giorno. A testimoniare un reale sviluppo di una startup è il grado di conoscenza acquisita durante gli esperimenti.

Il Minimum Viable Product è quindi la versione minima del proprio prodotto o servizio utile a testare con clienti reali gli assunti presenti nella visione imprenditoriale.

As you consider building your own minimum viable product, let this simple rule suffice: remove any feature, process, or effort that does not contribute directly to the learning you seek.

In effetti, come si fa a sapere se si sta migliorando un prodotto? Ries cerca una conoscenza verificata che possa testimoniare la bontà dello sviluppo. Non si accontenta di una semplice correlazione tra cambiamenti fatti e miglioramento dell’esperienza dei clienti; una semplice correlazione potrebbe infatti essere casuale. Per questo le startup hanno bisogno di un MVP e di una serie di esperimenti continui e mirati.

Il Minimum Viable Product non è necessariamente la più semplice versione immaginabile di un prodotto, né necessariamente deve essere pieno di bug come nel caso di IMVU. Il Minimum Viable Product è la versione del prodotto che permette di innescare il processo ‘Build-Misure-Learn’ (Costruisci-Misura-Impara) realizzata con il minore sforzo possibile.

build measure learn

Sottolinea Ries che nessuna delle attività in fig. 1, presa di per sé ha una importanza fondamentale. E’ proprio nella ripetizione del processo che risiede il vero valore della metodologia. L’impegno principale è quindi quello di diminuire il tempo necessario a svolgere un intero giro. Infatti, per ogni giro compiuto la startup acquisirà una nuova conoscenza validata.

Il diagramma Kanban

Altro strumento molto utile nella gestione quotidiana di una startup è il diagramma di Kanban. Sviluppato dall’ingegnere industriale Taiichi Ohno alla Toyota, il diagramma viene ripreso e utilizzato da Ries:

Diagramma di Kanban

Come si vede nella figura ogni colonna può contenere fino a tre lavori. A, B e C nella prima colonna sono i lavori da iniziare, D ed E i lavori in fase di sviluppo. F è stato invece completato ed attende una validazione. Nella prospettiva di Ries solo i lavori nella quarta colonna rappresentano delle conoscenze validate.

kanban

In questa seconda immagine F è stato validato libera quindi un posto nella terza colonna. D, E ed A sono stati realizzati ed attendono validazione. G, H ed I sono tre nuovi lavori da svolgere.

diagramma

Se D, E, ed A non vengono validati B e C, già realizzati, non possono passare nella terza colonna così come H e I, in corso di lavorazione, non possono andare alla seconda. Ciò indicherebbe che il lavoro fondamentale in questa fase è proprio la validazione di D, E ed A.
La limitazione di tre lavori a colonna, apparentemente restrittiva, permette di identificare il lavoro su cui concentrarsi in un’ottica in cui, più che la quantità di modifiche portate a termine, è proprio la quantità di conoscenza validata ad essere fondamentale per il progresso del lavoro.

Validated learning

La metodologia Lean Startup considera gli sforzi di una startup come degli esperimenti pensati per testare un’ipotesi. Ries ritiene questo passaggio fondamentale per una startup tanto da paragonarlo al passaggio dall’alchimia alla scienza.

We need the scientific method. In the Lean Startup model, every product, every feature, every marketing campaing – everything a startup does – is understood to be an experiment designed to achieve validated learning.

Il metodo Lean Startup è stato elaborato per aiutare gli imprenditori a guidare una startup. Invece di realizzare complessi piani di sviluppo basati su un grande numero di assunti, la proposta Lean si basa sul continuo lavoro di aggiustamento della propria piattaforma attraverso il circolo Build-Measure-Learn. Il prodotto viene quindi modificato costatentemente in un processo di ottimizzazione continua. Ogni modifica viene considerata un esperimento e come tale richiede una validazione. Che la modifica abbia portato dei risultati positivi o negativi è tutto sommato secondario rispetto all’arricchimento conoscitivo portato alla startup dall’esperimento.

Se il prodotto vive un continuo processo di messa a punto, la strategia alla base delle modifiche resta spesso immutata. Tuttavia, non sempre accade ciò. E’ infatti possibile che gli esperimetni effettuati sconfessino in modo radicale la strategia adottata.

As we’ve seen, it’s easy to kid yourself about what you think customers want. It’s also easy to learn things that are completely irrelevant. Thus validated learning is backed up by empirical data collected from real customers.

In tal caso bisogna avere un po’ di coraggio e di onestà verso se stessi e modificare la strategia messa in atto. E’ l’operazione che Ries chiama ‘pivot’. Anche i casi di cambio di strategia, tuttavia, non andrebbero vissuti come dei fallimenti. Il processo che ha portato alla decisione di cambiare strategia, se costruito sul Build-Measure-Learn feedback loop, ha infatti portato all’acquisizione di nuove conoscenze ed il fatto di aver identificato una determinata strategia come fallace è esso stesso una nuova conoscenza, spesso fondamentale.

La metodologia Lean è molto adatta alla concreta vita di una startup. Durante il reale sviluppo di un prodotto, anche nei casi di piccole attività imprenditoriali, ci si trova ad avere a che fare con un ampio ventaglio di operazioni da compiere simultaneamente ed uno dei problemi più frequenti è proprio di riuscire a continuare ad innovare i propri prodotti e servizi mentre si gestiscono dei clienti.
Il metodo Lean può aiutare a sfruttare al meglio le potenzialità presenti in questa delicata fase.

Gli esperimenti hanno quindi un ruolo cruciale in questo paradigma di gestione delle startup. Per avere una conoscenza validata bisogna condurre un esperimento, per farlo bisogna avere una ipotesi chiara, una semplice domanda a cui si cerca una risposta.

Without a clear hypothesis, how can a story ever be validated?

Il metodo Lean quindi, pur essendo molto lontano rispetto ad un modo tradizionale di gestire una azienda basato su indagini di mercato e serrato sviluppo tecnico, è al contempo anche molto lontano rispetto a modalità di gestione completamente anarchiche, che Ries chiama ‘Just do it school’.

“[…] after seeing traditional management fail to solve this problem, some entrepreneurs and investors have thrown up their hands and adopted the “Just Do It” school of startups. This school believes that if management is the problem, chaos is the answer. Unfortunately, this doesn’t work either.

Il metodo Lean non rinuncia all’elaborazione di una metodologia razionale dei flussi di lavoro e tuttavia prova a calare le idee di management tradizionali nella quotidianità delle startup, provando perciò ad alleggerire i carichi di lavoro intuili, ad inserire il marketing ed il rapporto con i clienti direttamente nella fase di sviluppo tecnico e a cambiare paradigma per quel che riguarda l’affannosa ricerca della perfezione tecnica che viene sostituita da una modalità di valutazione del progresso imprenditoriale basata sull’acquisizione di conoscenza.

Ipotesi di valore e ipotesi di crescita

Sono due le ipotesi in assoluto più rilevanti che fanno gli imprenditori: l’ipotesi di valore e l’ipotesi di crescita.
La prima riguarda il valore che si presume un prodotto abbia per le persone, la seconda il fatto che tale prodotto possa diffondersi generando una crescita delle vendite e degli introiti. Sono quindi innanzitutto queste due ipotesi cruciali a necessitare di una validazione attraverso l’elaborazione di un MVP e del Build-Measure-Learn feedback loop.

Nel 2004 Facebook si trasferisce nella Sylicon Valley. Al tempo non era né il più grande social network esistente né il primo social realizzato in un college. Aveva 150.000 utenti iscritti e non guadagnava molto. Tuttavia quell’anno ottiene 500.000 dollari di investimento e dopo meno di un anno incassa da investimenti altri 12,7 milioni di dollari.
L’investimento, considerato a posteriori, si è rivelato senza dubbio corretto. Proviamo però ad immaginare la situazione più di dieci anni fa. Cosa ha spinto gli investitori a scommettere su Facebook? E’ stata fortuna? Esiste un criterio sulla base del quale tale investimento possa esser definito corretto?

Gli investitori vennero colpiti da due dati in particolare, due dati che validavano, sin dagli esordi di Facebook, sia l’ipotesi di valore che l’ipotesi di crescita.
Facebook è stato lanciato il 4 febbraio del 2004. A fine mese ¾ degli studenti di Harvard erano iscritti al social. Senza spendere nulla in marketing e pubblicità. Ciò confermava di fato l’ipotesi di crescita.
Altro dato fondamentale, che andava invece a convalidare l’ipotesi di valore, è il grande numero di tempo che gli utenti passavano sul social. Quasi il 50% degli utenti si connetteva a Facebook ogni giorno.

Di storie ‘alla Facebook’, in questi anni, ce ne sono state molte. Piattaforme tecnicamente molto diverse tra loro ma che hanno in comune alcuni punti fondamentali nello sviluppo: sono siti andati online con delle versioni molto più agili rispetto a quello che sono diventate in seguito e che sono riuscite a convalidare rapidamente sia l’ipotesi di valore che l’ipotesi di crescita.

Sono forse ancora di più le storie di aziende che hanno, più o meno apertamente, provato ad emulare Facebook. Di ‘nuovi Facebook’ e di ‘anti-Facebook’ è pieno Archive.org.
Anche se lanciati tutto sommato in tempo, cioè quando Facebook aveva ancora visibili limiti, tutti questi siti sono finiti rapidamente nel dimenticatoio.
Questi social, che da un punto di vista funzionale sono spesso molto simili al social di Zuckerberg, hanno seguito un processo di sviluppo assai diverso rispetto a Facebook. Sono siti andati online con piattaforme già molto sviluppate, spesso di altissima qualità, e che hanno provato poi a promuoversi online, talvolta con tutti i mezzi. E tuttavia sono fallite.

Ricorda, se stai costruendo qualcosa che nessuno vuole, non importa quanto perfetta tecnicamente sarà la tua piattaforma e quanti soldi investirai in promozione.

Guida al Growth Hacking

  1. Storia delle startup negli USA
  2. Cosa significa startup?
  3. Lean Startup Movement: come gestire una startup
  4. I 5 principi delle Lean Startup
  5. Le fasi di vita di una startup
  6. L’Italia e le startup: diffusione e normativa
  7. Le ‘lettere rubate’ del web marketing: le premesse del marketing della crescita
  8. La legge dei click-through di merda
  9. Web marketing per startup: la storia del growth hacking
  10. Che cos’è l’hacking della crescita?
  11. Gli strumenti del Growth Hacker
  12. La metrica fondamentale del growth hacking: il tasso di crescita
  13. Marketing della crescita: tattiche, strategie e teorie
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