Il coefficiente virale del Growth Marketing

Dobbiamo finalmente affrontare in modo più approfondito uno dei concetti fondamentali per il growth hacking: la viralità.

Viralità è una parola molto di moda. Viene utilizzata più o meno a sproposito per indicare “qualcosa che si diffonde rapidamente” e “diventa famoso”.

Ora, questo utilizzo giornalistico del termine non serve a nulla quando parliamo di growth hacking. Se vogliamo fare web marketing dobbiamo infatti sforzarci di essere un po’ più precisi e dobbiamo provare a capire in modo più chiaro i concetti che utilizziamo.

Cos’è allora la viralità? La viralità è una caratteristica che immaginiamo abbia un qualcosa (un video, un prodotto, una moda…) che si diffonde come se fosse un virus. La “viralità sul web” ha questo nome perché ha una caratteristica in comune con i virus: si trasmette di persona in persona.

Se vogliamo fare in modo che questo concetto abbia una qualche utilità nel web marketing dobbiamo distinguerlo dall’idea comune che si ha di questa parola.
Se una persona famosa, un influencer per esempio, pubblica un contenuto che viene visto da molte persone appena pubblicato, siamo di fronte ad un caso di viralità?

Secondo l’uso comune del termine verrebbe da dire di sì. Ma nel marketing la risposta corretta è: “non è detto”.

Un influencer è infatti per definizione seguito da molte persone. Se pubblica una sua foto questa viene sicuramente vista da molte persone. Anche in breve tempo. Ma in questa dinamica non c’è niente di interessante. E’ una normale dinamica di diffusione di un contenuto. Non c’è niente di virale.

Anche uno spot in televisione trasmette un contenuto a molte persone in un breve lasso di tempo. Ma la pubblicità in tv non è virale.

Affinché vi sia viralità occorre che quel contenuto si diffonda di persona in persona, come un virus. Occorre cioè che le persone che seguono l’influencer condividano a loro volta il contenuto pubblicato raggiungendo altre persone che a loro volta condividono quello stesso contenuto ad altre persone.

La viralità perciò non ha a che fare con la quantità assoluta di persone che vedono un certo contenuto, ma con il modo in cui un contenuto si diffonde.

Se un influencer condivide un contenuto con 500.000 persone ed io condivido un contenuto con i miei 50 amici su Facebook, in termini di viralità in partenza siamo alla pari. Potrebbe accadere che il contenuto che io condivido piaccia molto alla mia cerchia di amici e che dei 50 amici che ho ben 45 lo condividano a loro volta. Il contenuto dell’influencer potrebbe piacere invece a tantissime persone, ben più che ai miei 50 amici, però le persone a cui piace quel contenuto potrebbero decidere di non condividerlo a loro volta. Magari si tratta di foto delle sue vacanze che piacciono a molti ma condividono in pochi…
Si può immaginare che solo 60 persone delle 500.000 che seguono l’influencer decidano di condividere il contenuto. Chi è stato più virale? Io o l’influencer?

Per capirlo abbiamo bisogno di un qualcosa che aiuti a misurare quanto un contenuto si diffonde di persona in persona. Un metro di misura.
Il nostro metro è il coefficiente di viralità.

Il coefficiente di viralità è indicato dalla lettera K ed è definito come il prodotto del numero di inviti che ogni utente invia (I) per la percentuale di successo di ogni invito (C).
La formula è sintetica: K = I x C

Facciamo un esempio. Diciamo che sto organizzando una festa per capodanno e voglio che vengano tante persone ma al contempo non voglio spendere troppo. Allora invito 9 amici e gli chiedo di partecipare alle spese. La festa costerà in totale 3000 euro, visto che ci piace bere tanto e bene, quindi ognuno dovrebbe mettere 300 euro. I miei amici mi vogliono bene e accettano tutti.

Siccome voglio fare un festone, chiedo anche ad ognuno dei miei amici di invitare i suoi amici e per incentivarli ad invitare persone gli dico che ognuno si potrà dividere i 300 euro con tutti gli amici che riesce a portare alla festa.

I miei amici incentivati dalla proposta si danno da fare ed ognuno di loro invita mediamente 10 persone. In media, il 50% dei nuovi invitati accetta l’invito.

Quant’è il coefficiente virale della mia festa di capodanno?

Dobbiamo moltiplicare I per C. I è uguale a 10 (ogni mio amico invita 10 amici), C è uguale a 50 su 100 (il 50% dei nuovi invitati accetta l’invito, ossia uno si e uno no).
Il coefficiente virale della mia festa di compleanno è perciò 5 (ossia 10×50/100). K = 5.

E’ un buon coefficiente virale? Decisamente sì. Infatti, dopo il primo giro di inviti, i 9 iniziali partecipanti alla festa sono diventati ben 54 (i nove iniziali più 45 dei 90 nuovi invitati).

Potrei far dire dai miei amici ai loro amici la stessa cosa che io ho detto loro… Cosa accadrebbe?

Che al secondo giro, se il coefficente virale rimane stabile, i partecipanti diventeranno 279. Al terzo giro 1404. Al quarto 7029.

Se a un certo punto non fermo il meccanismo virale sarò costretto ad affittare un castello…

Ecco spiegato in breve perché 5 è davvero un ottimo coefficiente virale.

Più alto è il coefficiente virale più rapidamente si diffonde qualcosa. Ogni cosa condivisa da qualcun’altro almeno una volta ha un suo coefficiente virale. Tuttavia per parlare propriamente di viralità occorre avere un coefficiente virale superiore a 1. Con K=1 si ha infatti una crescita lineare, con K>1 si ha una crescita esponenziale che, se mantenuta anche solo per pochi “giri”, garantisce risultati rilevantissimi in termini di visibilità.

Facciamo un altro esempio per capire perché con K=1 si ha una crescita lineare. Sto organizzando un importante convegno e voglio provare a promuoverlo con una campagna di e-mail marketing. Invito 100 persone che sicuramente parteciperanno e spinto magari da un incentivo, ad esempio un biglietto gratis a chi invita i propri conoscenti, ognuno dei miei cento invitati invita 4 persone (I=4). Di queste 4, una accetta l’invito (C=25%). Riesco perciò ad avere un coefficiente virale uguale 1.

Considerando che i primi cento invitati vengono sicuramente, ad ogni giro quanti partecipanti avrò?

Primo giro: 200
Secondo giro: 300
Terzo giro: 400
Quarto giro: 500
Quinto giro: 600
Sesto giro: 700
Settimo giro: 800

…e così via… Insomma la crescita è costante, ad ogni giro si aggiungono 100 partecipanti. Ciò significa perciò che con k>1 la crescita è esponenziale mentre con k<1 la crescita è inferiore alla crescita lineare e questo causerà un arrestarsi della crescita dopo pochi giri. Restando all'esempio precedente, se invece di C=25% avessi C=10% avrei un coefficiente virale inferiore a 1 (ossia 0,4). Questo porterebbe il numero dei partecipanti a crescere sì, ma sempre meno, finché al quinto giro la crescita si arresta: Primo giro: 140 Secondo giro: 156 Terzo giro: 162 Quarto giro: 164 Quinto giro: 165 Sesto giro: 165 Un fenomeno virale è quindi un evento che ha K>1. Quello che però accade sempre, naturalmente, è che K non resta maggiore di 1 per sempre. Ad un certo punto K diventa sempre minore di 1 e la viralità si ferma.

viralità

Il tempo del giro virale

Si possono comprendere i fenomeni virali solo appoggiandosi al coefficiente virale? La risposta è no.

Nel paragrafo precedente abbiamo infatti parlato di giri. Ma un giro si svolge sempre in un certo tempo. Se infatti una persona invita 10 persone su un sito oggi, domani o dopodomani, in un ottica di viralità c’è grande differenza.

Riprendiamo l’esempio di crescita lineare (K=1) fatto nel paragrafo precedente. Avevamo i seguenti giri:

Primo giro: 200 partecipanti
Secondo giro: 300 partecipanti
Terzo giro: 400 partecipanti
Quarto giro: 500 partecipanti
Quinto giro: 600 partecipanti
Sesto giro: 700 partecipanti
Settimo giro: 800 partecipanti

Se questi sette giri si svolgono ogni giorno, in termini numerici significa che i partecipanti crescono di 600 unità ogni giorno. Se si svolgono in un mese, significa che i partecipanti aumentano sempre di 600 unità, ma in un mese. Nel primo caso dopo un mese il convegno avrà 18.000 partecipanti in più rispetto a quelli di partenza, nel secondo avrà 600 partecipanti in più.

La differenza è chiara. Se il concetto è molto semplice, la formula matematica che aggiunge il fattore tempo alla equazione del coefficiente virale è invece abbastanza complessa. Il merito di aver capito l’importanza del tempo con cui si compie un giro è di David Skok. La formula matematica è invece di Sten Reiss.

Le tempistiche dei “giri” sono fondamentali e fanno la differenza in casi di alta competitività.

La viralità nel growth hacking reale. A cosa serve il coefficiente virale

La viralità fa parte delle prassi quotidiane di un growth hacker. Tuttavia quasi mai ha senso calcolarla precisamente. Anche perché in alcuni casi è davvero difficile, se non impossibile, tenere traccia di ogni singola condivisione.

Quello che però è davvero importante è tenere sempre a mente la differenza tra visibilità e viralità, due concetti che vengono continuamente confusi.
Il growth hacker deve sempre provare ad agevolare fenomeni virali. Per farlo non serve, o comunque non basta, posizionare contenuti in luoghi ad alta visibilità. Occorre invece in primo luogo che tali contenuti siano semplici da condividere per gli utenti, aspetto questo che richiede una serie di accorgimenti meramente tecnici.
In secondo luogo tali contenuti devono essere contenuti che vengono condivisi, ossia contenuti in cui, per qualche motivo, gli utenti si rispecchino tanto da farli propri.

La distribuzione di questi contenuti è naturalmente sempre fondamentale. Anche in questo caso però non è importante tanto concentrarsi sulla visibilità complessiva, quanto di fare attenzione alla tipologia di target. Capire cioè se il target a cui un certo contenuto viene mostrato si mostra disponibile a condividerlo oppure no.

La duplice natura del growth hacker, da una parte figura tecnica e dall’altra esperto di marketing, è quindi centrale nella pianificazione e realizzazione di campagne virali.

Pensare alla viralità è sempre importante. Nella vita di tutti i giorni non è semplice ottenere dei coefficienti virali superiori a 1, soprattutto quando si parla di comunicazione aziendale. E’ però indubbiamente vero che ogni punto percentuale guadagnato nel coefficiente di viralità è estremamente significativo. Anche quando si parla di zero virgola.

Semplici accorgimenti tecnici possono alzare il coefficiente virale di un contenuto, pur non riuscendo far superare la fatidica soglia K=1. Vanno comunque implementati, sempre. Il growth hacker non deve pensare alla viralità come ad un espediente per fare il “botto” una volta. La viralità va agevolata tutti i giorni, in ogni pagina, in ogni aggiornamento. E’ una prassi quotidiana.

Solo ragionando in questo modo si può riuscire, ad un certo punto, a far sì che l’intero progetto su cui si lavora tragga beneficio dalla viralità. Ragionando in quest’ottica i benefici della viralità si ottengono sempre. Anche nelle campagne in cui poi il caso virale in senso comune, ossia quello in cui qualcosa diventa famoso, non avviene mai.

Quasi sempre basta insistere con costanza a migliorare gli zero virgola dei coefficienti virali per ottenere tassi di crescita complessivi sorprendenti.

Il growth hacker deve essere ossessionato dalla viralità, tanto quanto lo è dalla crescita.

Guida al Growth Hacking

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  13. Marketing della crescita: tattiche, strategie e teorie
  14. Il nucleo del Growth Marketing. Il coefficiente virale