Come iniziare un racconto, un mattino, al risveglio da sogni inquieti…

Per curiosità: digitate su Google le parole “come iniziare un racconto” ed avrete consigli a bizzeffe, per lo più con un numero vario di passaggi (in alcuni casi corredati da illustrazioni) o addirittura “trucchi” per, appunto, iniziare a scrivere e poi proseguire nella stesura. Ci sono anche casi in cui, a conclusione, si afferma che, dopo aver letto la breve guida, si sarà in grado di iniziare a scrivere il proprio racconto.

Non dico che queste pagine non siano utili, per carità. Se si vuole, sempre per curiosità, due click e si può dare un’occhiata. Oppure no.

come iniziare a scrivere

Il fatto è che, consigli o non consigli, un racconto non ha modi prestabiliti per prendere avvio. Può partire da un’intuizione, da una frase buona come incipit o addirittura da un finale (il cosiddetto explicit in latino), oppure partire dall’ispirazione per un titolo. Da sogni anche, più o meno inquieti, ma più spesso dalla capacità che si ha di osservare e immaginare sviluppi di fatti e pensieri di cui siamo stati protagonisti o che ci sono arrivati e che ci stimolano a narrare. Ed anche dall’idea per una trama o della connotazione di un personaggio.

Se si vuole avere un’idea di cosa significa riuscire a creare un buon incipit per un racconto, è sufficiente andare in biblioteca o in una libreria e leggere le prime righe di una buona quantità di libri, dei più vari, e già un’idea possiamo farcela.

Gregor Samsa, ad esempio, che un mattino, così, di punto in bianco, dopo aver fatto sogni tormentosi, si ritrova già nelle primissime righe de “La metamorfosi” di Kafka trasformato in insetto gigantesco e che è considerato simbolo dell’incipit perfetto. Oppure la straordinaria capacità di Raymond Carver di aprire e chiudere i suoi racconti in modo sorprendente, quasi fossero un inizio e un finale al tempo stesso, o quella di Federigo Tozzi, che già con la prima frase di apertura dei suoi racconti riusciva a far entrare il lettore nell’atmosfera carica della realtà contadina dei primi anni del Novecento.

Perché la base, innanzitutto, è quella della lettura e dell’osservazione. Poi, nel momento in cui i nostri appunti (mentali o sul classico taccuino) si tradurranno in un progetto, il racconto nascerà, non necessariamente subito secondo una sequenza già ben connotata, ma perlomeno con l’idea di una struttura.

La pagina bianca fa paura, si dice. Io dico: avviciniamoci alla pagina bianca quando ne sentiamo l’urgenza, quando quel qualcosa che ci è frullato in testa sembra possa concretizzarsi in parola scritta. Le parole verranno, se sentiamo quest’urgenza. Poi, molte saranno da cancellare, da scartare, ma anche questo sta nel lavoro della scrittura, un gioco da giocare su un campo in cui, al di là della trama e di un intreccio, è indispensabile usare bene gli attrezzi più personali che potrebbero (o almeno lo speriamo) rendere il nostro racconto un buon racconto, e cioè il proprio stile e la propria passione per la lettura e la scrittura.

Alessandra Buschi per Web Crew