I rebrand più famosi delle grandi case di moda

Persino le griffe più blasonate cedono al ritocchino: il rebrand è una tentazione forte, anzi fortissima, soprattutto per i colossi del settore fashion. Come la storia del marketing insegna, e del fashion marketing in particolare, arriva un momento della propria vita aziendale in cui è necessario rimescolare le carte e creare una nuova brand image. Si tratta di un passaggio delicato, che merita riflessioni preliminari e la collaborazione di esperti, ma il risultato può essere davvero sorprendente.

Perché fare un rebrand?

Negli ultimi anni il mondo della moda ha affrontato un numero crescente di sfide. In particolare, alcuni aspetti hanno dato una spinta propulsiva alla necessità di rinnovamento, come:

  • il cambiamento nel comportamento d’acquisto, soprattutto da parte dei millennial
  • l’ascesa della tipologia fast fashion
  • il fenomeno “influencer
  • la sempre più capillare propensione allo shopping online

Prese alla sprovvista, le case di moda hanno puntato inizialmente solo su nuovi stilisti, investendo così in un cambio d’immagine legato strettamente alle collezioni proposte. In alcuni casi, i più fortunati, insieme ai nuovi direttori creativi si è scelto di fare un restyling più vigoroso, coinvolgendo anche il marchio.

Dopo un forte momento di crisi per tutti i fashion brand, nel 2016, è arrivato poi il momento della riscossa, che continua con successo anche nel 2019. Secondo un report di McKinsey & company, questo è l’anno dei “superwinner”, ovvero di quelle grandi aziende che sono riuscite a mantenere una stabilità nel corso degli anni. Il successo è passato anche dal rebrand, oltre che dalla capacità di reazione ai nuovi trend di mercato, come la sempre più crescente attenzione al tema della sostenibilità.

Non a caso, tra questi superwinner c’è anche qualche esempio di azienda che ha saputo affrontare un rebranding in maniera vincente, come Burberry, il gruppo LVHM, proprietario tra gli altri di Celine e Givenchy, e il gruppo Kering, che possiede Gucci e Saint Laurent. Vediamo nel dettaglio alcune di queste operazioni.

Saint Laurent

La scelta di Hedi Slimane, nel 2012, ha sorpreso tutti: anticipando un trend non ancora sufficientemente esplorato, l’allora nuovo direttore creativo del brand ha infatti deciso di cambiare il nome Yves Saint Laurent in Saint Laurent. Già autore nel 2000 di un progetto innovativo per la linea maschile di Dior, passata da Christian Dior Monsieur a Dior Homme sotto la sua direzione, Slimane è il capofila di una lunga schiera di rebrander.

Partito da un riforma sostanziale degli atelier e della produzione, puntando sulla sartorialità, Slimane ha disegnato personalmente il nuovo concept per gli store. La decisione di eliminare il nome dal marchio è stata inizialmente oggetto di critiche. In realtà, già nel 1966 lo stilista Yves Saint Laurent aveva utilizzato solo il suo cognome per la linea rivoluzionaria di prêt-à-porter Saint Laurent Rive Gauche.

Gucci

Nel 2015, Gucci ha scelto di affidare allo stilista Alessandro Michele la nuova immagine dello storico marchio del lusso. È stato proprio lui il catalizzatore di un rebrand ad hoc, puntando su un’estetica dal gusto vintage, kitsch e wunderkammer. Dopo anni di minimalismo spinto, Michele ha riproposto massicciamente il logo, riabbracciando la cara e vecchia doppia G, in stile Anni Ottanta, ma reinterpretandolo con l’aggiunta di elementi botanici e zoomorfi.

Tradizione, ma in linea con i gusti di oggi: il passato ritorna a modo suo. Ad esempio, una delle prime azioni prese sotto la nuova direzione creativa è stata quella di rimuovere dagli uffici italiani tutte le foto e le immagini del passato. Non era un tentativo di cancellare la propria storia, ma il desiderio preciso di vivere nel presente. E il cambiamento ha dato i suoi frutti: le vendite sono cresciute subito di quasi il 18%, spinte anche da una rinnovata attenzione all’e-commerce.

Celine

Un cambio quasi impercettibile, ma di grande impatto comunicativo. Hedi Slimane, nuovo direttore creativo del marchio, nel 2018 ha scelto di rimuovere l’accento acuto francese sulla prima “e” del nome. Non più Céline, quindi, ma Celine. Come aveva già fatto per Saint Laurent, Slimane ha puntato su un’estetica più pulita e semplice.

Anche in questo caso, si tratta di un omaggio al passato: il nuovo lettering, ispirato al font degli Anni Sessanta, riprende lo stile modernista di inizio Novecento, con una spaziatura più ravvicinata. Dal logo è stato eliminato anche Paris, che viene invece usato per il nuovo concept del packaging e per l’etichettatura delle collezioni.

Burberry

Nell’agosto del 2018, l’iconico brand inglese Burberry ha svelato un nuovo logo, completamente rinnovato. Il rebrand, iniziato grazie al nuovo responsabile creativo Riccardo Tisci e con la collaborazione del celebre graphic designer Peter Saville, ha fatto un passo indietro nel tempo, per potersi proiettare nel futuro.

Tisci si è infatti ispirato al vecchio logo del 1908, incorporando il monogram TB, riferito al fondatore Thomas Burberry, in un intreccio optical sui toni dell’arancio, del bianco e del classico beige Burberry. Addio anche al logo equestre e al vecchio lettering, in favore di un font Gotham in grassetto. Ci voleva coraggio per lasciarsi alle spalle il motivo scozzese, che per decenni ha rappresentato l’anima di Burberry, ma l’audacia è stata premiata con un rinnovato interesse per il marchio.

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