Il successo della poesia breve sui social network

I nuovi mezzi ci hanno accompagnato a molti cambiamenti, forse più di quanti per ora comprendiamo. Un esempio può essere, nel campo del cinema, quello del passaggio dalla visione dal grande schermo a quello “medio” dei televisori, per arrivare a fruire di molte pellicole unicamente attraverso piccoli e piccolissimi schermi di tablet e smartphone.

Spazi diversi, quindi, e anche scansione del tempo diversa e ritmi diversi.
Di qui, cambiamenti, modifiche anche nella tipologia di ciò che leggiamo.

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Così è capitato e sta capitando anche per la poesia, anch’essa oggi veicolata dai mezzi digitali e che, a parte le tradizionali forme brevi – a questo proposito ricordiamo la forma dei componimenti poetici giapponesi chiamati haiku formati da tre versi, così come certa poesia ermetica italiana quale quella di Ungaretti – sembra trovarsi bene nello spazio ridotto imposto dalle particolari modalità di lettura degli smartphone.

Esempi – a ben vedere soprattutto da parte di voci femminili – appaiono su LinkedIn, su Instagram, ma anche su Facebook, Tumblr e altri social, dove appunto l’immediatezza, i tempi di lettura e le procedure di passaggio da un post a un altro, da una pagina a un’altra, sono sempre più contratti e hanno abituato il fruitore a scorrere velocemente le righe, a far sì che l’attenzione venga presa e mantenuta più su qualcosa di istantaneo che su qualcosa di strutturato.

Al di là dei gusti personali in fatto di poesia – per dire la verità, personalmente privilegio la poesia breve rispetto a quella con maggior numero di versi per la sua essenzialità e il suo “arrivare all’osso” – è vero che, in questo senso, ci si può chiedere se la tendenza a fruire di certe forme di scrittura è data più dal doversi attenere a esigenze tecniche che a consapevoli scelte artistiche.

Una modalità di composizione, quella breve, che del resto si potrebbe dire accomuni diversi altri tipi di scrittura, anche non prettamente culturali, e che potrebbe trovare un parallelo, almeno nella struttura, nelle forme di testo commerciale – si pensi all’efficacia dei cosiddetti slogan in pubblicità e del payoff di un marchio – e alla grande diffusione che hanno le frasi a effetto, gli aforismi e le citazioni nel mondo dei social e in generale nella rete.

Certo, il rischio è quello di cui già in diversi hanno parlato, e cioè che i propri versi vengano paragonati alle righe che si possono leggere quando si scartano certi famosi cioccolatini, ma è vero che, come in ogni ambito, è il lettore a poter determinare il valore di uno scritto, che sia breve o lungo, postato su un social o pubblicato su carta. Da riconoscere, comunque, che i mezzi digitali hanno dato la possibilità di esprimersi maggiormente e che possono rappresentare il mezzo per veicolare forme di scrittura come la poesia che, se non proprio morte, si erano date almeno come moribonde.

Una questione, dunque, che può essere letta sotto diversi aspetti: è stata la poesia ad adattarsi al mezzo digitale – e quindi il mezzo digitale che ha cambiato la poesia – o il mezzo digitale ha rappresentato il giusto spazio per un genere di componimento che ha trovato nella forma breve la misura che più si confà ai nostri tempi ed è più consona al modo – oggi – di scrivere e leggere poesia?

Difficile dirlo, soprattutto mentre stiamo vivendo questi grandi cambiamenti. Fatto sta, c’è da dire che chi oggi vuol far poesia sa qual è l’importanza che hanno i social network e quanto siano ormai essenziali per promuoversi.

E poi si sa: di poeti che hanno vissuto solo della loro poesia ce ne sono ben pochi. Ben vengano quindi iniziative come quelle di poeti che utilizzano i loro blog o le loro pagine social come vetrine per vendere gadget con i loro versi (tazze, t-shirt, poster…), così come quei – pochi per la verità – fortunati che sono stati notati da grandi nomi della moda o di altri marchi noti, e le cui poesie sono state immortalate su capi e accessori di alta moda così come su altri supporti commerciali di richiamo.

Alessandra Buschi