Marketing culturale e artistico. X Factor USA? Per me è no

Il marketing è il prodotto” è una citazione di Seth Godin che, parlando tra di noi qui a Web Crew, utilizziamo spesso.
La usiamo per sintetizzare alcuni dei più chiari cambiamenti del marketing made in USA. Questa formuletta per noi significa in sostanza che è molto difficile fare marketing di un prodotto che non vale nulla. Mentre, viceversa, se il prodotto è valido e esso stesso realizzato con una attenzione al marketing, la sua diffusione è spesso molto rapida.

Del resto molte aziende realizzano i propri prodotti a partire da considerazioni di marketing. La nota attenzione al design della Apple è uno degli esempi più lampanti (e forse anche quella della ‘nostra’ Olivetti rispondeva in parte ad esigenze di marketing, oltre che ad una più ampia e saggia “ricerca della bellezza”).

Si può dire però che tale formula è sempre più vera e che ha effettivamente senso coinvolgere gli addetti al marketing nell’elaborazione stessa dei prodotti e dei servizi. E quindi può essere utile avere un reparto marketing interno alle aziende oppure contattare i consulenti esterni di marketing nella fase di sviluppo di nuovi prodotti e di nuove attività, e non dopo.

Ciò serve a limitare il rischio di trovarsi con prodotti che non interessano a nessuno. Perchè in effetti se hai aperto una azienda di frigoferi al polo nord poi non è che puoi prendertela con chi ti cura il marketing se non vendi.

Quando si parla di cultura e arte, però, il discorso cambia. O almeno dovrebbe secondo me cambiare.

logo di x factor

Vi è mai capitato di vedere X Factor USA? Ve ne consiglio caldamente la visione, almeno di una puntata. E’ la versione americana, quella originale, del celebre talent per cantanti.
Detto in breve: tantissime persone, soprattutto ragazzi e ragazze, si presentano a delle lunghe selezioni per partecipare al programma e vengono via via scremate da 4 giudici. Alcuni passano le selezioni, quelli che secondo i giudici hanno l’X Factor (credo, ma non sono sicuro, che X Factor sia qualcosa di simile a “talento”).
Una volta iniziato il programma ad ognuno dei giudici viene assegnato un gruppo di concorrenti con cui inizia a lavorare per presentare ogni settimana una canzone diversa. Ogni puntata qualcuno viene eliminato, sia per volere dei giudici che per i voti del pubblico da casa.

Quello che accade ad X Factor USA, molto più che nella versione italiana, è che i giudici intervengono massivamente sulle caratteristiche dei ragazzi che partecipano al talent. Gli fanno cambiare repertorio, look, atteggiamento. E l’obiettivo finale, più che aiutare i concorrenti a trovare una loro strada, è creare una vera pop star.

In pratica X Factor USA considera i cantanti dei prodotti e, siccome appunto “il marketing è il prodotto”, si interviene pesantemente sul prodotto/cantante in un’ottica di marketing con l’obiettivo di confezionare prodotti musicali che vendano bene. Talvolta ci riescono, altre volte no.

Il programma è interessante anche per l’uso che viene fatto del termine “artista”: viene utilizzato spessissimo e con una spensieratezza fatua che in Italia sarebbe inammissibile. Il programma insomma è tutto un urlare “Woh-hoo, sei un vero artista, una vera pop star!”.

Naturalmente la musica è tante cose. E’ anche intrattenimento, commercio, sottofondo. Però ho la presunzione di dire che la musica è fondamentalmente “arte”. Nel senso che nel mercato dovrebbe esserci spazio per tutto. Anche per la musica in quanto arte che credo resti comunque la cosa più importante per tutti. Ossia: ciò che ha un reale valore per gli esseri umani.

Ora, se noi ci troviamo di fronte ad un artista vero e non ad un artista nel senso di “pop star”, diventa francamente difficile dirgli che il marketing è il prodotto.
In sostanza quando si parla di arte, e credo anche più in generale di cultura, chi fa marketing non può mettere becco sulla qualità di ciò che viene prodotto.

Per me quindi X Factor USA non può essere un esempio di marketing artistico riuscito. Indipendentemente dal successo o meno dei cantanti che vi partecipano.
Non possiamo applicare l’ottica del marketing sic et simpliciter alla cultura e all’arte.
Forse non bisognerebbe neanche parlare di marketing culturale e di marketing artistico.

Ma al di là dei nomi – va benissimo anche marketing artistico – il punto è nelle prassi. Fare marketing culturale e artistico è molto difficile proprio perchè i prodotti da vendere sono realizzati liberamente, senza alcuna finalità commerciale, e non può essere altrimenti. Bisogna promuovere l’arte e la cultura sempre a posteriori, senza interventi nella fase di produzione.
Il valore dell’arte e della cultura non è economico.

Naturalmente può capitare che un artista sia anche commerciale. Ma spesso non capita. Se un buon libro non è commerciale non significa nulla, non importa.

Se un bravo artista non vende, non si può fargli una ‘colpa’ di questo. Arte e commercio andrebbero comunque tenuti distinti. La cosa interessante sarebbe invece provare, viste anche le diverse possibilità di comunicazione che il web mette a disposizione, a trovare canali efficaci di promozione e vendita dell’arte e della cultura che non intervengano né sui ‘prodotti’ artistici e culturali, né tantomeno spingano artisti, saggisti, scrittori, verso campagne di personal branding e di gestione dell’immagine pubblica.

Bisognerebbe riuscire insomma a trovare un pubblico anche agli artisti non commerciali più che trasformare i ragazzi di talento in prodotti commerciali. Perchè se no rischiamo di ritrovarci in un mondo in cui gli artisti non commerciali – tantissimi – quasi muoiono di fame mentre il mercato dell’arte e della cultura fiorisce attorno ad una manciata di pop star. Così finisce che a fare arte e cultura saranno solo quelli di buona famiglia.

Bisogna trovare un modo per riconoscere il lavoro di chi opera nell’arte e nella cultura indipendentemente dalla commerciabilità dei prodotti, questo, più che X Factor USA, ha a che fare con il marketing artistico e culturale.