Il copywriter e le parole impolverate

Scrivi, scrivi e poi scrivi ancora. Oggi questo, domani quell’altro. Usa un tono professionale ma anche ironico.
Vedi di essere socievole. Voglio un articolo un po’ giornalistico e un po’ scientifico.
Mi serve un testo interessante. Anzi no, creativo. Rispetta, però, i tempi.

Scrivi che ti riscrivi, la prosa del copywriter si può appesantire.
E allora, a volte, le frasi non vengono più fuori chiare e limpide. I periodi non sembrano più frecce scoccate al cuore dei lettori.

Il testo si carica di una certa retorica. Niente che si possa correggere, niente di sbagliato o sgrammaticato. Niente di discutibile.

E’ come se le parole seguissero un andamento, un suono, una cadenza già sperimentata. Ci si rifugia nel proprio stile. Nel proprio lessico.

Ogni copywriter ha la sua retorica. Formulari di parole che riempiono il foglio in modo decoroso, dignitoso, ma non originale.

Il mestiere del copywriter diventa più che altro un imitare, un imitarsi. Il peso delle parole passate diventa uno scudo, un’armatura, con cui sfidare i nuovi argomenti senza aver paura dei fogli bianchi. Ma i testi perdono di efficacia e sincerità.

Il copywriter deve sapersi scrollare di dosso ogni volta la polvere lasciata dalle migliaia di battute già scritte.