Google personalizza le tue ricerche, anche se non sei loggato

Da quando l’attivista internet Eli Pariser, un tempo direttore esecutivo di MoveOn e oggi amministratore delegato del sito di contenuti virali Upworthy, ha coniato l’espressione “Filter Bubble” le discussioni sulla manipolazione dei dati degli utenti che effettuano ricerche su Google non sono state poche.

Bolla di filtraggio: lo stato in cui, secondo Pariser – in Italia è possibile leggere il suo libro edito da Il Saggiatore dal titolo Il filtro. Quello che internet ci nasconde – si trovano gli utenti a seguito di ciò che gli algoritmi di Google pensano siano i loro interessi e i comportamenti che avranno più probabilità di fare. Risultati che Google deduce dai comportamenti in rete di ognuno, ovvero dai click che si sono effettuati in precedenza, dalle ricerche in rete che si sono fatte e dalla cronologia dei propri acquisti.

Essere relegati in questa bolla ha molti risvolti negativi, a partire dall’ambito delle campagne politiche, durante le quali ad esempio gli elettori si trovano a cercare informazioni su argomenti e candidati per schiarirsi le idee e farsi un’opinione, ma i cui comportamenti possono venir registrati quali interessi specifici e anche influenzare i risultati delle campagne stesse.

Google afferma di aver preso provvedimenti per ridurre il problema e di non personalizzare i risultati delle ricerche fatte in incognito utilizzando la cronologia delle ricerche registrate in passato, ma questo non è in realtà ciò che invece è emerso da alcuni studi recenti.

Sembra infatti che non siano sufficienti accorgimenti quali la navigazione in incognito e la disconnessione da Google per evitare la sua bolla di filtro e che anche quando si naviga credendo di mantenere l’anonimato vengono forniti risultati di ricerca personalizzati.

È infatti appurato che l’ordine dei link mostrati nei risultati di ricerca da utente a utente è diverso. La conseguenza la conosciamo: ognuno di noi è portato a cliccare il primo link proposto della pagina di ricerca, poi il secondo, e così via, limitandosi per lo più ai primi risultati.

Se fosse stato vero che Google non agisce anche quando un utente naviga in incognito, e cioè senza una bolla di filtro, le pagine dei risultati per utenti che effettuano la stessa ricerca non varierebbero di molto. Ciò che ci si aspetterebbe è che tutti vedano sul proprio schermo la stessa serie di risultati, ma questo, invece, non sembra essere così: ogni utente coinvolto nello studio ha trovato risultati diversi, influenzati appunto, anche se agendo con una modalità di ricerca in incognito, da quelli che Google considera i suoi interessi, in base ai suoi comportamenti passati o alla zona geografica da cui naviga.

Una classifica diversa, e anche risultati visibili per alcuni e non per altri, comprese notizie e video, che ha evidenziato quindi come la navigazione in incognito non garantisca una vera neutralizzazione delle personalizzazioni e come le nostre “impronte” sul web rimangano comunque visibili e manipolabili dagli algoritmi di Google, creando risultati di ricerca che variano anche in modo considerevole da utente a utente e, di conseguenza, ci influenzano.

Qui i dati analizzati e i risultati dello studio effettuato da DuckDuck Go, motore di ricerca competitor di Google, la cui filosofia dichiarata è quella di non immagazzinare informazioni sui dati forniti dalle ricerche effettuate dagli utenti.

C’è da dire, comunque, che questa raccolta di informazioni per personalizzare i risultati di ricerca – anche degli utenti che non hanno un account Google – non è qualcosa che la grande piattaforma ha mai nascosto, e che già a partire dal 2009 impiegava un cookie anonimo che prendeva in considerazione varie informazioni sull’utente. Oltre a questo, varie sono state nel tempo le accuse mosse verso Google di poca trasparenza, così come quella di veicolare prodotti solitamente gratuiti che utilizzano tattiche SEO di cui spesso e volentieri gli utenti non hanno conoscenza e che gli consentono di ottenere una vasta gamma di informazioni personali per vendere in modo mirato pubblicità online.

Alessandra Buschi