Recensione di ‘Her’ film di Spike Jonze

Dopo una sequela di produzioni cinematografiche in cui l’intelligenza artificiale era, nella migliore delle ipotesi, presagio di un futuro distopico, Spike Jonze ha deciso di tentare di usare l’argomento per raccontare qualcosa di estremamente umano: la genesi dei sentimenti affettivi.

Al suo quarto lungometraggio, anzi, ricama una vera e propria storia d’amore aggiornata al XXI secolo. La sceneggiatura – per la prima volta interamente curata dallo stesso Jonze – mette di fronte alla macchia da presa un eccellente Joaquin Phoenix a vestire i panni di Theodore Twombly. Theodore è uno scrittore che si interroga sul senso della propria vita lavorativa, ormai ridotta a redigere delle grottesche lettere d’amore per conto di altre persone.

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Il suo ruolo descrive quindi un copywriting paradossale, a servizio di un sito terribilmente kitsch: BeautifulHandwrittenLetters.com – che appare ancora più kitsch quando si apprende che la scrittura non è a mano, ma è generata da un computer imitando la calligrafia umana. Theodore è oppresso da un divorzio recente e, nel suo appartamento, appare incredibilmente solo. Fino a quando non decide di acquistare un assistente virtuale che cambierà la sua vita: Samantha.

Il sistema operativo che costituisce la mente di Samantha è eccezionalmente avanzato, ed è un successo commerciale che travolge la società in vive Theodore: tutti possiedono un’OS – termine con cui ci si rivolge in modo informale agli assistenti virtuali. Samantha non è un sistema operativo ordinario: ha un atteggiamento e una curiosità quasi umane, ed ha una voce melliflua – Scarlett Johansson nel doppiaggio originale, Micaela Ramazzotti in quella italiana, anche se va detto che molti critici non hanno fatto giustizia alla nostra doppiatrice.

Il colpo di genio di Jonze sta nel portare agli estremi il fascino che la tecnologia produce sulle persone. Se l’idea di un uomo che si innamora di una macchina sarebbe sembrata una volta una trama di serie B, Her riesce a renderla qualcosa di naturale e sensato, percepita come una pura e semplice variazione dei tempi in cui viviamo. Sarebbe realistico, ci viene da pensare osservando il film, se solo le intelligenze artificiali fossero più avanzate.

Nonostante la mancanza di presenza fisica, Samantha sembra vicina alla fantasia maschile della donna perfetta: materna e accogliente, sempre in grado di dare tutta la propria attenzione a Theodore e senza chiedere nulla in cambio: l’amore più puro. Ma emerge rapidamente un altro aspetto, che coinvolge invece volta solo Samantha e che riconnette il film alla migliore tradizione dei lavori di fantascienza: l’inarrestabile pulsione dell’intelligenza artificiale di andare alla ricerca del senso del proprio essere.

Her è un film delicato, appassionante, ma in grado di sconvolgere lo spettatore in senso profondo, lasciandolo a riflettere sul significato della relazione che abbiamo con la tecnologia attraverso una grammatica nuova e affascinante.