Cosa ne penso di Immuni, l’app che deve proteggerci dal Coronavirus

Cos’è Immuni?

Nel sito di Immuni si legge “Aiuta te stesso, la tua famiglia e il tuo Paese” e che questa app aiuta a tornare a vivere normalmente e senza rinunciare alla privacy.
In pratica si tratta di una app di contact tracing che può essere utilizzata da chi ha quattordici anni in su (per i minorenni serve il consenso di almeno un genitore), progettata da Bending Spoons, una società nata a Copenaghen nel 2013 e attualmente con sede a Milano, fondata da cinque soci allora non ancora trentenni, considerata il top in Europa per lo sviluppo di app per iPhone e tra le prime dieci nel mondo per download.

Immuni è l’unica app di tracciamento di contagio che è stata scelta dal Governo italiano e da esso autorizzata al contact tracing nel nostro Paese. Gratuita, il suo utilizzo non è obbligatorio, anche se vivamente consigliato dal Ministero della salute.
Disponibile da giugno scorso sugli store digitali, avverte gli utenti che l’hanno scaricata sul proprio dispositivo se hanno avuto un’esposizione a rischio, ovvero se sono stati a contatto per oltre quindici minuti a una distanza di meno di due metri con persone a cui è stato diagnosticato il Covid-19, anche se asintomatiche.

immuni

Lo scopo per cui l’app è stata messa a punto è che in tal modo si possa contenere un’epidemia (non solo di coronavirus, quindi), in quanto coloro che sono stati esposti a un possibile contagio, essendone avvertiti, possano isolarsi per evitare di diffondere l’epidemia, agire per tempo per evitare complicanze della malattia e tornare più velocemente a una vita normale.

La tecnologia Bluetooth Low Level usata da Immuni – che viene indicata come particolarmente efficiente in termini di risparmio energetico e che non influisce in modo considerevole sulle prestazioni della batteria dello smartphone o sul suo surriscaldamento – consente di inviare una notifica di possibile contagio in modo rapido senza raccogliere dati sull’identità o la posizione dell’utente. I dati raccolti, infatti, vengono salvati su server con la garanzia di essere protetti.

In pratica l’app non raccoglie il nome e il cognome dell’utente, così come non raccoglie la sua data di nascita, il suo numero di cellulare, il suo indirizzo e-mail, la sua posizione o i suoi movimenti. Stessa cosa per quanto riguarda l’identità delle persone con cui la propria Immuni viene a contatto.
In pratica, viene utilizzato un sistema che può determinare l’avvenuto contatto con un soggetto risultato positivo ma senza sapere chi siano i due soggetti o dove si siano incontrati. Ciò si realizza per mezzo di codici generati casualmente che si aggiornano costantemente per proteggere la privacy degli utenti.
Chi risulta positivo, potrà caricare con l’aiuto di un operatore sanitario i suoi codici sul server. Ciò servirà agli altri utenti per far sapere che sono entrati in contatto con lui o con lei.

Perché Immuni non ha avuto il riscontro sperato

Quelli che abbiamo indicato poco sopra sono i dati con cui viene presentata Immuni, che, per dire la verità, non ha avuto tutto quel successo che ci si aspettava.
Si prevedeva, infatti, che sarebbe stata scaricata da venticinque milioni di italiani, quando in realtà a fine agosto 2020 è stata scaricata da poco più di cinque milioni di utenti, una percentuale non certo ottimale, in quanto è stato calcolato che, per poter girare bene, dovrebbe essere presente sui cellulari del sessanta per cento della popolazione.

Una situazione che non si è presentata solo in Italia: anche le app proposte in altri Paesi europei equivalenti alla nostra Immuni non hanno infatti avuto il riscontro sperato (in Norvegia, addirittura, l’app è stata sospesa perché ritenuta troppo invasiva per la privacy), a parte il caso dell’Irlanda, dove invece l’app di contagio è stata messa in funzione da un numero consistente di utenti.
Ma quali sono i motivi di così poco riscontro da parte degli utenti?
Una questione che ha fatto sorgere molti dubbi sull’utilizzo di Immuni è stato il fatto che gli smartphone con sistema Android richiedono l’abilitazione della geolocalizzazione, cosa che ha fatto sospettare che la propria privacy non venisse rispettata. Un timore che potrebbe far intuire quanto poco la popolazione italiana abbia fiducia nelle istituzioni e che potrebbe perlomeno dar modo di ragionare sul motivo di così tanta sfiducia.

In generale, sembra che chi l’ha scaricata (me compresa), lo abbia fatto soprattutto per dovere civico, quando però c’è anche chi, sempre per dovere civico, pensa che sia invece il caso di non utilizzarla.
Alcuni, infatti, sostengono che sia arrivata troppo tardi e che quindi sia ormai inutile per combattere la pandemia.

Altro motivo addotto da chi è contrario al suo utilizzo è che non ha potuto essere testata con la dovuta attenzione e che potrebbe non essere attendibile. Si potrebbe infatti per esempio essere raggiunti da falsi alert.
C’è da dire che, inizialmente, si sono riscontrati diversi problemi tecnici, con l’impossibilità per esempio di scaricarla su tutti i telefoni, quindi si sono rilevati casi di consumi anomali di batteria e di surriscaldamento.

C’è inoltre da dire che Immuni funziona solo se anche gli utenti risultati positivi al Covid-19 l’hanno scaricata sul loro smartphone e che se si utilizzano più dispositivi, Immuni non riconosce lo stesso utente se non dal dispositivo in cui essa è stata installata.
In molti la considerano inoltre troppo invasiva e sostengono che costringe a un uso eccessivo dello smartphone.

Da considerare, poi, che funziona soltanto con Bluetooth attivo. A parte il fatto che alcuni utenti lamentano la difficoltà di riuscire a ripristinare il servizio ogni volta che il Bluetooth viene spento e riattivato, avere il Bluetooth (e il GPS, per i possessori di smartphone Android) sempre attivo, comporta un rischio per la sicurezza perché rende più soggetti ad attacchi informatici. Alcuni, poi, ipotizzano che in questo modo si possa essere facilmente tracciabili per scopi non prettamente sanitari ma di altro genere.

Benché i dati ci dicono che Immuni per il momento sia riuscita comunque a bloccare alcuni focolai, del suo malfunzionamento si è parlato anche recentemente, con casi che hanno fatto sorgere sempre più perplessità sulla sua attendibilità. Ricordiamo per esempio la mancata notifica di esposizione che è stata rilevata per il caso che ha visto coinvolte due ragazze bresciane.

Diciamo, insomma, che la app di tracciamento scelta dal nostro Governo non ha trovato molti consensi e che la sua diffusione è molto lenta, vuoi per limiti della sua tecnologia, vuoi per effettive criticità tecniche, vuoi per cattiva informazione sul suo funzionamento, vuoi per questioni su ci si potrebbe essere più o meno d’accordo.

Fatto sta, che proprio di questi giorni è l’annuncio che due tra i nomi più noti a livello mondiale vogliono riprovarci. Si tratta di Apple e di Google, che vorrebbero presto introdurre una funzionalità di “exposure notification” integrata nei sistemi operativi iOS e Android anche per chi non ha scaricato Immuni. Di fatto, comunque, Immuni resterà l’app di riferimento per segnalare al servizio sanitario nazionale la propria positività.

Che dire? In effetti potrebbero avere più successo della app scelta dal Governo. Del resto, non è forse vero che in pratica tutti ormai affidiamo, spesso inconsapevolmente e forse anche con troppa leggerezza, i nostri dati personali ai due grandi colossi americani?

Alessandra Buschi