Il marketing che non vuole vendere niente (apparentemente)

Pubblicizzare e pubblicizzarsi sono azioni che ci seguono da quando abbiamo iniziato a vivere in comunità e in modo particolare da quando abbiamo iniziato a svolgere attività commerciali.

Nel tempo questa azione, volta tendenzialmente a far conoscere, diffondere l’interesse e quindi invogliare verso qualcosa che si propone – ma anche verso qualcuno, dato che si può parlare di una sorta di “pubblicità” anche quando si invita a preferire un’idea o una persona rispetto ad altre – si è avvalsa di tutti gli strumenti a disposizione. La voce, innanzitutto, poi insegne, volantini, annunci, immagini, spot, eventi

fashion marketing

Il marketing, come lo definiamo oggi, è quell’insieme di operazioni di vario tipo svolte dalle imprese con l’intento di agire sul mercato e quindi trarne profitto. Un fine che può essere raggiunto con l’impiego di molteplici mezzi e andare a toccare diversi ambiti.

Una delle azioni di base della pubblicità in generale è sempre stata quella di individuare e di usufruire dei “luoghi” più adeguati in cui proporre un prodotto o un servizio, quegli “spazi” cioè più “frequentati” da una potenziale clientela.
Se luogo privilegiato a questo scopo è stato per lungo tempo il classico “mercato”, in tempi più recenti abbiamo assistito a un’evoluzione che ha trovato nel piccolo schermo il canale adatto per entrare addirittura nelle case dei consumatori, dando avvio a una massiccia comunicazione di massa.

Negli ultimi decenni questo posto d’onore è stato messo in discussione dai nuovi mezzi di comunicazione. È per questo motivo che negli ultimi anni si è verificato un adeguamento da parte delle aziende rispetto al loro modo di proporsi al pubblico. Seppur mantenendo la finalità di favorire una commercializzazione, ci si è infatti distaccati dal modo “classico” di fare pubblicità, favorendo altre tipologie di intervento.

Ecco infatti che le aziende oggi tendono a usufruire di quei “luoghi”, ormai più che affollati, rappresentati in special modo dai social network, dirigendosi verso azioni di social media marketing che coinvolgono quella sorta di intrattenimento tanto gradito agli utenti, il quale, seppur apparentemente sembra non abbia nulla a che fare con ciò che le aziende vendono, stimola comunque l’utenza a decretarne la popolarità. Un modo, quindi, per le imprese, per imporre o migliorare la loro immagine.

Pensiamo per esempio a realtà commerciali quali Ceres o Taffo, che attirano i click e i like dei naviganti della rete non perché vendono birra e servizi funebri, ma perché fanno ridere.
Un particolare modo di fare marketing, dunque, che in apparenza non vuol vendere niente, ma che è diventato comunque un elemento importante per la vita di una impresa, e cioè quello di intrattenere per “fare branding”, “fare tendenza”, ovvero per farsi un nome e conquistare i favori dei consumatori.

Un esempio significativo, di qualche anno fa, ma che fa comprendere come questa modalità di creare appunto tendenza tramite l’intrattenimento sia ormai una strada da battere e spesso anche una chiave di successo per molte aziende, è stata l’iniziativa “Fashion Creatives”, una serie di video prodotta dalla ben nota azienda automobilistica in cui personaggi di spicco raccontano la loro vita accompagnando l’utente in un tour delle loro città.

Questo ad esempio è il video realizzato con The Man Repeller:

Intrattenere, quindi, prima di vendere. Perché, a quanto pare, oggi come oggi è questo che sta alla base di un’efficace azione di marketing. Per poi – ovviamente – vendere.

Alessandra Buschi