L’arte grafica di Stefan Sagmeister, dalla A di anarchia a The Happy Film

Stefan Sagmeister: una carriera importante nel campo del design che lo ha portato a diventare uno dei nomi più noti nel panorama della grafica contemporanea.

Pluripremiato e conosciuto soprattutto per i suoi contributi per quanto riguarda manifesti e copertine di dischi di artisti quali i Rolling Sones, i Talking Heads, Pat Metheny, Jay-Z, Lou Reed e gli Aerosmith, è difficile dire se Stefan Sagmeister sia da considerarsi prima di tutto un personaggio o un dio della grafica.

Austriaco ormai da anni stanziato a New York, Sagmeister ha saputo intrecciare così bene la sua vita alla sua professione, che è ormai difficile non considerarlo un divo, una superstar. Un professionista che, comunque lo si veda, con la sua opera ha portato alla ribalta la questione se il design debba essere considerato un’arte vera e propria o se, essendo finalizzato alla vendita, vada considerato in altro modo.

sagmeister

Fatto sta, benché molti dei suoi lavori siano commissionati da brand e possano farsi quindi rientrare nell’ambito del marketing, per molti Sagmeister va considerato un artista vero e proprio, grazie anche alla sua predisposizione a mettersi ben volentieri in gioco in prima persona nei suoi progetti, spesso provocatori e ambigui.

Un lavoro, il suo, che passa dal suo corpo presentato nudo in varie situazioni alla famosa immagine che è stata utilizzata per un ciclo di conferenze in un campus universitario, con le scritte incise sulla sua pelle con un coltello. Un lavoro che si può dire abbia iniziato a interessare il pubblico fin dalle sue prime realizzazioni da creativo (noto il manifesto da lui ideato quando ancora stava studiando, commissionato per pubblicizzare la rivista “Alphorn”, con l’immagine dei corpi dei suoi compagni di studio che formano la “A” di anarchia, da lui poi fotografati dal tetto della scuola) e che oggi fa parlare di sé anche per gli “anni sabbatici” che può concedersi ciclicamente, durante i quali si dedica a progetti che si allontano dal mondo imprenditoriale.

Ecco quindi come è nato The Happy Film, un esempio di come Sagmeister utilizzi se stesso e il suo corpo per esprimere forme e contenuti. Un video da lui realizzato insieme ad altri buoni nomi dell’ambito cinematografico, presentato per la prima volta in Germania nel gennaio del 2017, in cui ha deciso di sottoporsi egli stesso a un viaggio-esperimento sulla felicità che ha riscontrato ottimi consensi di pubblico e critica.

Un progetto di design, in fondo. O meglio: l’esperimento di trasformare se stesso in un progetto di design, intraprendendo tre strade diverse (tutte rigorosamente controllate): la meditazione, la terapia e le droghe. Un progetto sperimentale, insomma, in cui è possibile rintracciare innumerevoli ottimi spunti visivi “alla Sagmeister” e che hanno fatto di un’opera cinematografica qualcosa che, a detta di molti, si avvicina più all’arte che al “semplice” documentario.

Un’idea che è partita dal chiedersi cosa avrebbe potuto fare per essere più felice, sviluppata poi con la realizzazione di un film della durata di novantacinque minuti che ha implicato un impegno non privo di difficoltà durato diversi anni e che va assaporato da cima a fondo, compresi i titoli di testa e di coda.

Alessandra Buschi