Qualche indicazione utile sul regime forfettario

La cosiddetta Partita Iva forfettaria è un regime fiscale che può dare diversi vantaggi ai professionisti e alle piccole imprese, l’unico in effetti disponibile in Italia.
Si tratta in pratica di un regime forfettario di tassazione introdotto nel 2016, sostitutivo dell’Irpef, destinato a lavoratori autonomi che posseggono Partita Iva o che intendono avviare una nuova attività di impresa, arti o professioni, che consente di beneficiare di alcune agevolazioni, e nello specifico di una tassazione ridotta, di una riduzione dei contributi Inps e di semplificazioni a livello contabile e burocratico.
La Legge di bilancio 2021 non ha introdotto novità per quanto riguarda il regime forfettario per le partite Iva; restano quindi i requisiti fissati dalla manovra dello scorso anno, con una tassazione agevolata con un’aliquota fissa del 15% del reddito imponibile. Per le start-up, il regime forfettario è ancora più conveniente, in quanto per i primi cinque anni l’imposta dovuta è del 5%, per poi crescere al 15% a partire dal sesto anno.
L’Iva non viene addebitata in fattura ai clienti (la franghigia Iva consente oltretutto di offrire beni e servizi a prezzi più competitivi) e non viene liquidata l’imposta, quindi si è esonerati dalla presentazione della dichiarazione Iva e della registrazione dei corrispettivi e delle fatture emesse e ricevute, così come da studi di settore e altri adempimenti quali lo spesometro e l’esterometro.

Sulle fatture emesse andrà quindi semplicemente riportata la dicitura “Operazione senza applicazione dell’Iva, effettuata ai sensi dell’art. 1, commi da 54 a 89 della Legge n. 190/2014, così come modificato dalla Legge n. 208/2015 e dalla Legge n. 145/2018”. Nelle fatture con importo superiore a settantasette euro e quarantasette centesimi è però obbligatorio apporre marca da bollo da due euro.

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Chi adotta il regime forfettario determina il reddito imponibile applicando ai ricavi e ai compensi percepiti un coefficiente di redditività in base al Codice Ateco associato alla partita Iva, cioè sulla base della categoria di attività economica svolta. In pratica, viene considerata una percentuale di spese sostenute durante l’anno. È comunque importante dire che per alcuni contribuenti la non deducibilità dei costi reali potrebbe in effetti non essere un vantaggio, soprattutto se si sostengono altri tipi di spese o si affrontano ingenti investimenti. Al reddito imponibile vanno poi dedotti i contributi previdenziali.

La fatturazione elettronica (che comunque rappresenta sempre un costo) è facoltativa (eccetto che per prestazioni rese alla pubblica amministrazione), ma è bene ricordare che è però obbligatorio lo scontrino elettronico. Essendo comunque raccomandata, chi opta per la fatturazione elettronica può beneficiare dell’eliminazione di un’annualità da quelle esaminate durante un controllo fiscale. È comunque fatto obbligo numerare e conservare le fatture di acquisto e le bollette doganali, così come le fatture emesse, l’integrazione delle fatture con aliquota Iva su operazioni in reverse charge e versamento dell’imposta entro il 16 del mese successivo e la compilazione del modello Intrastat per servizi e prestazioni a un soggetto passivo residente in un Paese dell’UE.

I requisiti per aderire al regime forfettario rimangono quelli introdotti nel 2019, ovvero avere ricavi e compensi massimi di sessantacinquemila euro, qualsiasi sia il proprio Codice Ateco (in precedenza la soglia massima era di trentamila euro), non avere spese per personale dipendente e lavoro accessorio superiori a ventimila euro lordi e non avere redditi provenienti da lavoro dipendente o pensioni superiori a trentamila euro.

Per chi intendesse aderire al regime forfettario, è bene informarsi sulle regole di accesso, sempre introdotte nel 2019, che impongono dei parametri (con alcune eccezioni in casi particolari) per l’applicazione della tassazione agevolata. Sono infatti escluse persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali Iva o di regimi forfettari di determinazione di reddito; chi non è residente in Italia (e qui ci sono alcune eccezioni, tra cui chi risiede in un Paese membro dell’UE); alcune Partite Iva che appartengono a determinati settori (agricoltura e pesca; vendita di sali e tabacchi; commercio di fiammiferi; editoria; gestione di servizi di telefonia pubblica; rivendita di documenti di trasporto pubblico e sosta; agenzie di viaggio e turismo; agriturismi; vendita a domicilio; rivendita di beni usati, oggetti d’arte o da collezione; agenzie di vendite all’asta di oggetti d’arte o da collezione); chi effettua in via esclusiva attività di cessione di fabbricati, così come di terreni edificabili e di veicoli di trasporto nuovi; chi oltre all’attività autonoma svolta con Partita Iva partecipa anche ad attività economiche riconducibili a quella svolta individualmente (per esempio chi fa parte di una società di persone o associazioni con attività riconducibili a quella individuale); chi percepisce in via prevalente compensi da datori di lavoro con cui si è si è lavorato nei due anni precedenti o attività riconducibili a essi (fanno eccezione coloro che iniziano una nuova attività dopo aver svolto un periodo di pratica obbligatoria per svolgere l’esercizio di arti e professioni).

In conclusione, un regime fiscale che ha diversi pregi, tra cui una gestione facilitata che consente di tenere più facilmente la propria attività sotto controllo e anche di ridurre le spese del commercialista. Come detto, però, ci sono anche alcuni aspetti che potrebbero non essere interessanti per l’attività che si svolge ed è quindi bene, prima di aderirvi, valutare tutti i vantaggi e gli svantaggi che esso comporta.

Alessandra Buschi