La storia del marchio Agip – Eni

All’inizio fu solo un cane a sei zampe: un’immagine familiare e aliena allo stesso tempo, che gli italiani cominciarono a riconoscere, come un faro nei mari d’asfalto del Belpaese. La storia del marchio Agip racconta l’evoluzione stessa dei nostri gusti e delle nostre certezze, di decennio in decennio, ed è anche simbolo della nostra grande creatività.

L’Agip, acronimo di Azienda Generale Italiana Petroli, venne costituita nel 1923 dallo stato, con lo scopo di iniziare un’attività petrolifera dentro i nostri confini. Autore della rinascita del colosso energetico, nel dopoguerra, fu Enrico Mattei. A quel tempo piccolo imprenditore nel ramo chimico, invece di liquidare l’azienda come gli era stato chiesto di fare, decise di rivoluzionarla. E il cambiamento passò anche dal marchio.

logo agip

Il concorso per il marchio Agip

Dotato di grande lungimiranza nel campo della comunicazione, Mattei rivitalizzò completamente l’Agip: una volta messo in salute l’ente, stabilì che era il momento di cambiare pelle. Nel 1952 decise quindi di indire un bando per la campagna pubblicitaria, che includeva due cartelloni stradali, due marchi e i colori per la colonnina del distributore di benzina.

Rispetto ai numeri e ai canali attuali sembrerebbe poca cosa, ma a quei tempi si trattava di un progetto davvero poderoso, con un premio finale di dieci milioni di lire, che ai nostri giorni corrisponderebbero a circa centocinquantamila euro. Vennero inviati migliaia di progetti, che misero in difficoltà la giuria tecnica, composta da esperti d’arte e di comunicazione. Ci vollero moltissime riunioni, ma alla fine incoronarono un vincitore per entrambi i marchi.

Il primo si chiamava Luigi Broggini e non andava poi così fiero del suo lavoro, tanto da farlo presentare con il nome di un altro. Scultore, credeva che la pubblicità fosse un territorio inferiore rispetto a quello dell’arte. Non poteva immaginare che il suo “strano” cane sarebbe rimasto per anni e anni nell’immaginario della nazione. Suo figlio rivelò il segreto solo nel 1983, subito dopo la morte del padre, portando le prove della “paternità” del marchio.

Il soggetto del logo proposto da Broggini, destinato a una linea speciale di carburante, era un cane con sei zampe. Il soggetto prese un po’ tutti alla sprovvista e in tanti si lanciarono nell’interpretazione: sembrava un cane, certo, ma sputava fuoco come un drago. Ricordava anche il leone di Persia, in marcia verso l’Occidente con la testa rivolta all’Oriente, ma persino una chimera. Il suo scopo, al di là dell’effetto sorpresa, era quello di interpretare il rapporto tra uomo e natura, ponendo enfasi sul coraggio e sulla forza.

Un’altra ipotesi suggeriva che il cane a sei zampe fosse la rappresentazione del drago Tarantasio. Pauroso animale mitologico, si diceva abitasse in un lago lombardo ormai estinto, tra la provincia bergamasca, cremonese e lodigiana, proprio la zona in cui era stato trovato un giacimento di petrolio. Tuttavia, non potremo mai sapere veramente a cosa stesse pensando Broggini mentre disegnava il soggetto del nuovo marchio Agip. E forse l’alone di mistero che ha circondato il cane a sei zampe è anche il motivo del suo successo comunicativo.

In breve tempo, contestualmente alla crescita del settore automobilistico in Italia, il cane a sei zampe divenne come un miraggio sulle autostrade del nostro paese. Con le sue strane, misteriose e affascinanti fattezze, era già entrato a far parte della nostra cultura, accompagnando i viaggi (lunghi o brevi che fossero) delle famiglie e dei lavoratori. Con questa nuova veste iconografica, l’Agip cambiò anche nome, diventando Eni, acronimo di Ente Nazionale Idrocarburi, il nome che porta ancora oggi.

L’altro marchio vincente

Forse non tutti sanno che, a dire il vero, il marchio principale di Eni avrebbe dovuto essere quello proposto dal grafico Carlo Dradi. Si trattava di una lettera “S” inserita in un disegno stilizzato di un traliccio petrolifero. Andando contro la giuria, Enrico Mattei decise che sarebbe stato il cane a rappresentare l’immagine dell’azienda.

I restyling del marchio Eni

Negli Anni Settanta si decise di rinfrescare la brand image di Eni, anche in seguito alla morte di Mattei. Bob Noorda, autore del primo rebranding del 1972 e del secondo nel 1998, sottolineò la necessità di un cambiamento, per evitare che la vecchia immagine “odorasse di benzina”.

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Il logo Eni del 1998.

Nel primo restyling venne stabilita la volontà di non rinunciare al logo del cane a sei zampe, elemento centrale del marchio Eni. Per fare in modo che potesse risaltare nelle nuove insegne delle stazioni di rifornimento, venne però ridisegnato in chiave più moderna, in modo che sembrasse meno un mostro e più un cane, sebbene sempre bizzarro.

Si decise anche di cambiare il font, usando lo Standard Bold nero con un filetto bianco centrale, che idealmente ricordava le strisce sulle strade. Il colore di sfondo, infine, era un giallo puro, mentre la fiamma era di un rosso ottenuto da un misto di giallo e magenta.

Nel 1998, dopo la privatizzazione, Bob Noorda rimise mano al marchio, semplificando i diversi elementi. In sostanza, tra il cane e la scritta Eni venne aggiunta una linea rossa. Nel 2010, anno in cui venne effettuato l’ultimo rebrand, il cane usciva dal quadrato predefinito, come a simbolizzare un nuovo dinamismo. Un’immagine che sembrava guardare al futuro, senza dimenticare il marketing, come ha sempre fatto Eni in tutta la sua storia.

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Il logo dell’Eni del 2010.

Grazia Berva