L’intelligenza artificiale nel quotidiano: la premessa per una tecnologica comodità o il presagio di un futuro distopico?

Poco più di due anni fa è iniziata la distribuzione di Amazon Echo, marcando così l’ingresso degli assistenti virtuali domestici nel mercato privato. La caratteristica di questa generazione di assistenti virtuali è di essere slegati dai terminali mobili, perché pensati proprio per integrarsi nello spazio personale degli utenti. Si tratta insomma di un passo avanti rispetto all’innovazione inaugurata da Siri, l’assistente virtuale per iOS realizzata da Apple ed imitata da tutti i principali competitors dell’azienda. L’unico modo per interagirvi, quindi, è attraverso la voce e le parole. Le funzionalità di Alexa, questo è il nome della voce che risponde ai comandi impartiti tramite Echo, ha incoraggiato Google ad incrementare la ricerca in questo ambito, giungendo al lancio di Google Home nell’ottobre 2016 – prodotto che già da più voci viene dichiarato vincente.

intelligenza artificiale

Per ora le attività controllabili da questi dispositivi sono in sviluppo e ancora legate a funzionalità di semplici: avviare l’ascolto di una determinata musica con differenti servizi, vedere un film, acquisire informazioni specifiche su un oggetto, un concetto o un servizio.

Tuttavia, le potenzialità di Google Home lasciano intravedere un alto livello di penetrazione dell’assistente vocale nella vita quotidiana del proprietario di casa. In altre parole, probabilmente il prossimo passo comprenderà il controllo di funzionalità domotiche elaborate oltre allo sviluppo di un intelligenza artificiale sempre più in grado di sostenere conversazioni realistiche.

Ma tutte le volte che il mio tablet dall’altra stanza mi sorprende dicendo “se hai appena detto qualcosa, non ho sentito”, mi ricordo di quante cose diamo per scontato riguardo alla questione della privacy. Cosa ne è della privacy? E, andando più in profondità, quanto senso ha parlare di privacy nei confronti di questi dispositivi e servizi? E’ difficile dire quanto sia importante la nostra intimità di fronte ad un robot, ma è per certo angosciante pensare che qualcosa – o qualcuno – sia praticamente all’ascolto di tutto ciò che diciamo in casa o al di fuori, grazie ai nostri smartphone.

La privacy è del resto un concetto ed un diritto la cui soglia è fortemente labile e soggettiva. La presenza pervasiva dell’internet of things ci sta portando sempre di più ad ammettere – anzi, a desiderare – intrusioni nella nostra intimità per ottenere in cambio servizi che riteniamo importanti.

Fino a poco fa era semplicemente risibile l’idea che un telefono potesse spiarci. Ora inizia a profilarsi la possibilità che l’intelligenza artificiale gestita da una grande azienda conversi con noi, svolga azioni e mansioni basate su ciò che conosce di noi e comunichi a terzi i nostri gusti, le nostre inclinazioni, le nostre idee ed i nostri orientamenti.

Ciò che in altri tempi la classe media poteva solo sognare, e che le classi benestanti ottenevano a caro prezzo, ora è alla portata di un cenno della voce. Abbiamo l’impressione che siano servizi gratuiti ma la verità è che li stiamo pagando profumatamente, cedendo in cambio il nostro diritto all’intimità, alla solitudine ed al silenzio.