Diventare freelance…

Freelance: un termine inglese che, in modo generico, indica la prestazione di un servizio a contenuto intellettuale svolta da un lavoratore senza che questi abbia un rapporto esclusivo di dipendenza.

Un’attività, quindi, che si distingue dal libero professionista in senso stretto, di solito iscritto a un albo, e che, a conti fatti, riprende più o meno quello che dava da vivere, nel medioevo, ai soldati mercenari, ovvero quelle “lance” libere, indipendenti (da qui l’appellativo “free-lance”) che prestavano la propria opera a chiunque li assoldasse.

Soldati di ventura, insomma. Ma anche combattenti, direi. E, sotto vari aspetti, precari.

Senza addentrarci in questioni fiscali specifiche, in generale i cosiddetti freelance worker non hanno clienti diretti ma committenti, e così troviamo molti lavoratori autonomi che legano la loro professionalità soprattutto al settore terziario e al terziario avanzato.

Freelance nel settore del giornalismo, dell’informatica, nell’educativo, nella sanità, nel mondo della consulenza finanziaria… Da scrittori a fotografi, quindi, da avvocati a veterinari, da modelle a musicisti, da commercialisti a editor, da trainer a traduttori: lavoratori dunque che scelgono di prestare la propria professionalità in modo autonomo, indipendente, a chi glielo richieda.

Ma come, perché si diventa freelance? Qual è la spinta che porta a scegliere di tuffarsi in questo mercato libero ma precario?

Le motivazioni possono essere diverse e credo che, seppur spesso originate da un personale modo di essere e di intendere la propria professionalità, possono legarsi a moltissime altre questioni, non ultima la situazione del mondo del lavoro.
Purtroppo l’idea spicciola che molti hanno di chi lavora freelance è quella di una persona “libera” nel suo lavoro e quindi, per un luogo comune abbastanza radicato, una persona che lavora “con comodo”, in modo chissà quanto spensierato e senza stress, in contrapposizione all’immagine del “duro lavoratore” sotto un capo.

Un’idea abbastanza balzana, in effetti, che potrebbe innanzitutto essere controbattuta con tutta la responsabilità e la precarietà che essere freelance comporta, e che se è vero che dà la possibilità di gestire il proprio lavoro in autonomia e con flessibilità, porta con sé anche una buona dose di difficoltà.

Una scelta, per alcuni, per poter svolgere in piena autonomia la propria professione, con tutta la passione che si nutre per essa, e che talvolta spinge anche ad abbandonare un posto fisso di lavoro, ma anche, oggi come oggi, un inquadramento che rispecchia la difficoltà di trovare un impiego che dia la sicurezza di portare a casa uno stipendio fisso in cambio dell’attività per cui si è acquisita una professionalità.

Una necessità, quindi, per alcuni, per reinventarsi in tempi difficili come questi, mettendo a frutto la propria professionalità e la propria esperienza, purtroppo non sempre sufficienti per trovare un impiego dipendente, ed anche, in un certo senso, in accordo con la domanda sempre crescente di lavoratori a progetto e la convenienza di poter contare sulla professionalità di lavoratori già formati.

Alessandra Buschi