Una campagna di comunicazione digitale: dalle premesse teoriche agli strumenti d’intervento concreto

Quali sono i filtri cognitivi che è davvero opportuno impiegare per valutare la valenza concreta dei vari strumenti di rappresentazione digitale attualmente disponibili?

Leggere la realtà digitale in termini troppo meccanicisti rischia facilmente di far procedere le analisi verso territori d’indagine iperuranici, imbottiti di paroloni ma difficilmente intellegibili sul piano operativo.

D’altra parte nemmeno una ipersemplificazione forzata può essere una buona idea, dal momento che la realtà concreta verso la quale si vuole operare è tutt’altro che sintetica e lineare, nei suoi meccanismi intrinseci quanto nelle sue dinamiche di breve e di lungo periodo.

Ecco che gli strumenti si tramutano in fini, i numeri in icone; la causa si sovrappone all’effetto facendoci sfuggire qualsiasi autentica possibilità di intervento concreto – in senso razionale – sul terreno pubblico.

Mentre invece strategie ed analisi preliminari non dovrebbero servire a pianificare l’inazione, o peggio la ventura; al contrario queste devono essere semplici linee guida di un’azione – per quanto possibile consapevole – sul tessuto del reale, impalcature teoriche utili a ‘capire’ il campo da gioco e a strutturare le opportune regole d’ingaggio.

Capita spesso, invece, che non si riesca a scorgere quel filo logico che dalla strategia porta alla tattica, dalla teoria all’azione.

Presenza digitale: dall’autorappresentazione all’awareness pubblica

La comunicazione pubblica che si vuole offrire tramite i canali digitali ha come obiettivo la diffusione della notorietà del brand in promozione: si tratta di un processo che può apparire potenzialmente vincolato a variabili indipendenti dal soggetto attivo, mentre invece non è proprio così.

E’ un processo ‘liquido’, che come tale può mostrarsi difficile da interpretare o innescare ma che segue dinamiche tutt’altro che estranee dall’azione diretta di chi anima la campagna di comunicazione in essere.

Il flusso dei contenuti prodotti dall’azienda si riversa nei diversi affluenti, il sito aziendale o il network di presenza gestito sulle piattaforme sociali pubbliche, e viene infine recepito in rivoli, ovvero nell’alveo mentale dei lettori e dei ‘followers’ dell’azienda, che costituiscono la platea di pubblico verso cui il messaggio è rivolto in prima istanza.

Ma il web consente interazioni tra le più stratificate; e permette in fondo di costruire un messaggio latente incredibilmente sfaccettato, adatto per la lettura di interlocutori diversi che non siano necessariamente inclusi nel pubblico iniziale verso cui il contenuto aziendale era stato effettivamente indirizzato.

Ecco quindi che i rivoli della comunicazione aziendale non si fermano ad un indifferenziato substrato di ‘lettori o followers’; il ciclo ‘liquido’ non si ferma lì, ma anzi condensa nel tempo, lievita, si complica tramite l’azione e l’interazione del pubblico.

Le strutture che sono in grado di veicolare i contenuti diventano progressivamente degli autentici canali di marketing: molto presto la costruzione della presenza aziendale diventa un’operazione straordinariamente concreta, e quei torrenti di comunicazione d’impresa che inizialmente sembravano scorrere senza regola verso il basso riemergono con prepotenza, dando vita finalmente a quel bacino di visibilità che poi potrà permettere all’azienda di mettere a frutto l’investimento effettuato per tutto lo startup. Giunti a maturazione quei canali potranno dare avvio ad un genere completamente diverso di ‘flussi’, ovvero quelli ‘in entrata’, connessi ai KPI più tradizionali: flussi di traffico in ingresso su sito, in primo luogo, e flussi di contatto di carattere commerciale, come target finale.

Il ciclo liquido che dalla comunicazione porta al marketing vero e proprio, almeno in ambito digitale, si asciuga e si solidifica nel tempo, cristallizzando le tattiche di breve periodo in strutture sempre più tangibili – e fruibili – come autentici ‘luoghi’ dell’incontro con il (proprio) pubblico (o mercato).

Queste sedimentazioni calcaree che emergono dai rivoli quotidiani di una campagna di marketing sono i frutti concreti che si andavano teorizzando in sede preliminare: la loro genesi è tanto semplice in apparenza quanto terribilmente complessa, e viceversa.

Il flusso anomico di una campagna di comunicazione digitale si condensa nel tempo, assumendo forme concrete nella sostanza dei suoi costituenti molecolari, che si accumulano nel lungo periodo come atomi di calcio e sodio sull’arenile.