L’uomo nella rete: connesso o avvinto?

Internet è la tecnologia determinante dell’era dell’informazione. Con l’esplosione della comunicazione wireless all’inizio di questo secolo, si è ottenuto un livello di potenziale connessione comunicativa del genere umano che mai aveva avuto luogo in passato. Una connessione che riesce ad essere quasi indipendente dalle disuguaglianze in termini di larghezza di banda, efficienza e costo.

Welcome to the machine
Pink Floyd, Welcome to the machine.

Persone, aziende e istituzioni percepiscono la profondità di questo cambiamento tecnologico e lo implementano nella vita quotidiana. Tuttavia, questa accettazione profonda – quasi carnale – della tecnologia, ha avviato un processo trasformativo la cui percezione spesso risulta distorta.

Scomodando Eco si può dire che più che mai la società si divide oggi in apocalittici e integrati – ed è curioso che negli ultimi anni proprio Eco avesse assunto una visione da apocalittico.

Internet isola o connette? Attorno a questo interrogativo si arrangia tutta la panoplia delle argomentazioni critiche o entusiaste che riguardano il web e la società connessa.

La nostra attuale società di rete, la cosiddetta web society, è un prodotto della rivoluzione digitale e di alcuni importanti cambiamenti socioculturali. Il principale e più critico è l’affermazione dell’individuo sulla moltitudine.

Ognuno oggi è portato a percepirsi al centro del mondo perché ogni strumento informativo punta tutto sul coinvolgimento personale dell’utente: gli smartphone ci chiamano per nome, il computer ci dice quanto traffico c’è al lavoro e l’assistente personale di Amazon ci accende le luci non appena entriamo in casa.

L’effetto è molto evidente: la società è parcellizzata in una miriade di piccoli universi tagliati su misura. L’immagine dell’uomo che trova il suo posto al centro dell’universo è antica e fondante nella nostra cultura: è il concetto portante dell’Umanesimo rinascimentale. L’Umanesimo coglieva l’uomo della sua identità comune, nel suo essere tale, e quindi poteva costruire un sistema armonico di relazioni fra il mondo, la società e la cultura di quella società.

L’Uomo Vitruviano è inscritto con precisione all’interno del quadrato terrestre e del cerchio divino, ed è quindi metro e misura di tutte le cose: del resto società e cultura sono prodotti dell’esistenza umana. Taccola, sotto al suo Uomo Vitruviano (che è un immagine non solo leonardesca), recita esattamente così:

io reco in me ogni misura: sia quelle del cielo, sia quelle della terra, sia quelle degli inferi. E chi comprende se stesso ha nella sua mente moltissime cose, e ha nella sua mente il libro degli angeli e della natura.

Ora, agli entusiasti della società della rete bisogna proporre una riflessione in questo senso. Non siamo davanti all’Umanesimo 2.0 che qualcuno spera vivacemente di aver individuato. La nostra società, al contrario, coglie l’uomo nel suo individualismo, nella sua specificità e nella limitatezza dei suoi problemi quotidiani.

L’individuo non comprende se stesso, perché è ossessionato dalla comprensione dei meccanismi che si crea attraverso reti sociali sempre più pervasive, fluide e soffocanti – Bauman direbbe che è come un topo nella barca che va a fondo. Non sarebbe neanche corretto immaginare un nuovo Uomo Vitruviano in cui cerchio e quadrato siano all’interno della figura, anzi: cerchio e quadrato, in senso simbolico, non sono più un problema di cui preoccuparsi.

Achille Zoni