Il trionfo della narrazione soggettiva: la selfie generation

Una recente foto dello staff di Hillary Clinton postata su Twitter ha fatto in poco tempo il giro del mondo. Il motivo non ha a che vedere con l’acceso dibattito sulla campagna elettorale statunitense, quanto con il paradosso che emerge dalla foto stessa: mostra la Clinton che saluta sorridente una folla di persone, ma nessuna queste persone sta guardando la candidata. Anzi, tutti le danno le spalle perché sono impegnate a scattarsi un selfie per l’occasione. Dal punto di vista dei social network, la scena ha un senso chiaro; da quello dell’osservatore in carne ed ossa invece rasenta il surreale. La protagonista dell’incontro appare, in questa foto, laconicamente sola.

hilary clinton - selfie

La diffusione di massa dei dispositivi mobili, l’accessibilità delle piattaforme di social media e la (finta) maschera offerta dall’anonimato su internet ha fatto emergere e stimolato comportamenti sociali che, se decontestualizzati, appaiono estremamente concentrati sull’apparenza e sull’individuo piuttosto che sulle relazioni con gli altri. L’ossessione per la perfezione, per la coerenza ai modelli sociali e per la reverenza narcisistica hanno trovato nei selfie una delle più chiare manifestazioni. Basta un normale uso di Facebook o Instagram per rivelare lo stato delle cose in questo senso.

I più esposti a questo fenomeno non sono solo la generazione dei cosiddetti “millennials”. Quando si parla di Selfie Generation non si può sottintendere un chiaro limite generazionale, quanto invece un approccio fortemente vanitoso che, come tale, è trasversale e non vede l’età come un fattore determinante. Più che una generazione temporale, è quindi una generazione tecnologica.

La Selfie Generation ha stravolto e ribaltato la narrazione della realtà. Senza voler avviare un discorso che metta in contrapposizione gli apocalittici e gli integrati – per richiamare il bellissimo concetto di Umberto Eco al riguardo – bisogna cercare di crearsi uno sguardo realmente obiettivo su questa tendenza sociale. La linea di demarcazione fra l’autoreferenzialità e l’espressione personale è estremamente sottile e frastagliata: molti narrazioni sociali che toccano queste tematiche possono apparire assurde, comiche, tristi o improbabili, ma sono anche la traduzione di esperienze di una generazione che per la prima volta nella storia della tecnologia si interfaccia con una rivoluzione di enorme portata.

L’espressione dell’io è diventata un elemento di un fenomeno pop globale e le narrazioni che ne derivano sono necessariamente caratterizzate dalla stessa dimensione culturale. Narrazioni che, paradossalmente, sono sviluppate ponendo in primo piano l’osservatore più che l’oggetto osservato, che diventa un elemento di contorno secondario pur quando necessario.