“Non possediamo nient’altro che metafore”. La verità della scrittura secondo Nietzsche
L’approccio di Nietzsche ai principali temi filosofici è basato sul tentativo di decostruire i concetti portanti di una filosofia occidentale considerata decaduta, i cui principi si rivelano inanimati (“Dio è morto”) e che poggia su fondamenta di dubbio valore.
Secondo il grande filosofo, che espone le prime idee al riguardo nel testo di Verità e menzogna fuori dal senso morale, il concetto di verità del linguaggio – anzi, di verità tout court – è da mettere in discussione. La domanda che si pone è semplice: è legittimo, una volta attribuito ad un oggetto una specifica parola, pensare che questa parola gli corrisponda realmente? “Le cose e le designazioni delle cose coincidono?”, si chiedeva Nietzsche.
Il processo della conoscenza avviene attraverso varie fasi. Dato un determinato oggetto, noi ne cogliamo l’esistenza attraverso determinati stimoli nervosi che ci permettono di esserne consapevoli e coscienti, attraverso la creazione di un’immagine. Il computer su cui io sto scrivendo è in effetti solo l’immagine del computer che io percepisco, giacché ad esempio un daltonico la percepisce in modo differente.
Questa immagine è, letteralmente, una metafora dell’oggetto in questione. Nel momento in cui devo definire ad altri questa immagine, faccio uso di suoni o di segni, cioè di altre metafore, per comunicarli. Anche qualora si tratti di concetti astratti, le cose non cambiano: le parole ne sono solo una rappresentazione metaforica. Il processo è talmente fluido che in noi si crea l’illusione che ci sia un’effettiva corrispondenza ontologica fra ciò che percepisco e ciò che nomino, ma la verità, ci dice Nietzsche è che l’uomo non possiede né gli oggetti né i concetti che comunica: “non possediamo nient’altro che metafore delle cose, che non corrispondono affatto alle cose originarie”.
E del resto, anche il concetto di verità è ingannevole e fallace. La parola è di fatto anche una astrazione della realtà, perché ciascuno ha un’idea od un’interpretazione diversa del significato delle cose. In natura non esiste “la montagna”: esistono migliaia di variazioni elementi unici che l’uomo, per riuscire a comunicare, ha raccolto sotto questo nome. Questa osservazione ci spinge a considerare che quindi la coscienza umana è fondamentalmente tautologica, cioè richiusa su sé stessa, è antropomorfa e autoreferenziale. E’ per questo che la verità è fondamentalmente illusoria e menzognera. L’intera conoscenza umana è, per Nitezsche, basata su un duplice errore: accettare per reale ciò che invece è solo un’astrazione e dimenticarsene per sempre, basando la comunicazione umana su “un esercito in movimento di metafore, metonimie e antropomorfismi”
alka
31 Agosto 2017 @ 16:34
Ma sai che non ho mai letto il testo che citi? Spero davvero che tu abbia fatto un buon servizio all’importante autore, non sempre semplicissimo e trasparente.
Hai comunque sicuramente risvegliato i miei studi filosofici, grazie! 🙂
Questo discorso sull’incapacità del linguaggio e della conoscenza di cogliere le cose per come ‘realmente sono’ è molto interessante.
Mi sono sempre domandato perché sia nato un pensiero del genere che tra l’altro, formulato diversamente, mi pare già presente in Grecia.
“La coscienza umana è fondamentalmente tautologica, cioè richiusa su sé stessa, è antropomorfa e autoreferenziale. E’ per questo che la verità è fondamentalmente illusoria e menzognera”.
Perché pensarla così?
A me pare che un discorso del genere parta da un’astrazione dall’essere umano. Per comprenderlo bisogna ‘far finta’ di non esistere – si può dir così? – e immaginare la verità delle cose senza l’uomo.
In una prospettiva del genere la verità diventa necessariamente una cosa a se stante e inconoscibile. Divina e irraggiungibile. Poi a quel punto ci si ‘deprime’ perché tale verità non la si può cogliere col linguaggio o è del tutto inconoscibile per noi. E la ‘nostra’ verità diventa menzognera, illusoria…
Le cose esistono anche senza l’uomo, certo. Ma cos’è questa pretesa di coglierle prescindendo da noi stessi? Che senso ha?
Non l’ho mai capito.
L’idea dell’inconoscibile viene fuori da un modo di impostare le cose che non mi corrisponde granché. Preferisco non far finta mai di non esistere e vivere l’ignoranza, quella mia e quella di tutti gli uomini, nella prospettiva del conoscibile, anche se non ancora conosciuto. La prospettiva della ricerca…