Le differenze tra smart working e telelavoro

In coincidenza con l’emergenza coronavirus, l’espressione smart working, pur non essendo nuova, ha iniziato a essere utilizzata con molta più frequenza e a indicare quella tipologia di lavoro che, in un momento in cui è stato necessario allontanarsi dai posti di lavoro fisici, ha permesso a diverse realtà lavorative di poter continuare la propria attività.

Benché smart working e telelavoro abbiano lo stesso modello di organizzazione lavorativa a distanza, fuori dai locali di un’azienda, e riguardino comunque un accordo tra datore e lavoratore in base a un rapporto di lavoro subordinato, il significato delle due espressioni non è equivalente, per quanto spesso vengano utilizzate come sinonimi. In realtà, seppur implicando l’utilizzo di strumenti informatici e rappresentando entrambi modalità flessibili di lavoro dipendente regolati da un contratto allo stesso modo che per i lavoratori che svolgono mansioni in sede, si tratta di due modalità lavorative diverse.

telelavoro

Riguardo questo periodo, c’è da dire che telelavoro e smart working possono rappresentare anche una valida risposta alla fase di ripresa dell’economia dopo lo stallo imposto dall’emergenza coronavirus, in quanto permettono un distanziamento sociale adeguato per salvaguardare la salute pubblica e un approccio proficuo per le imprese in vista della ripresa delle loro attività.

Il telelavoro (teleworking se vogliamo riportarlo alla terminologia anglosassone) è una forma di lavoro che si è diffusa a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Riguarda un lavoro che si svolge o a casa propria o in un luogo specifico predeterminato, distaccato da quello della sede centrale di un’azienda. In definitiva, quindi, è soltanto lo spostamento fisico della postazione lavorativa del dipendente al di fuori dei locali dell’azienda.

Come dicevamo, lo smart working (o “lavoro agile” in italiano) non è una soluzione inaugurata a seguito di questa specifica emergenza sanitaria, bensì una forma lavorativa “intelligente” utilizzata soprattutto dalle grandi aziende per contenere i costi e aumentare la produttività.

Una modalità di lavoro che si sta diffondendo sempre più in diverse realtà anche in Italia, in quanto si è visto che in termini di produttività gli smart workers rendono circa il 5% in più dei loro colleghi in sede. A differenza del telelavoro, non richiede necessariamente un luogo fisico fisso in cui svolgere le proprie mansioni. Infatti, seppur di solito si privilegia la propria abitazione o una sede distaccata, lo smart worker può lavorare ovunque. Anche un bar, un parco, un ristorante, un albergo o anche la sede stessa dell’azienda vanno benissimo, purché possa utilizzare computer o smartphone e una connessione Wi-Fi. In questo senso, quindi, lo smart working è da potersi vedere come un’evoluzione del telelavoro in base all’espansione dei mezzi digitali portatili e della diffusione della connettività, che consentono una maggiore flessibilità. Una modalità che interessa le imprese, ma che può portare vantaggi anche nella pubblica amministrazione, in quanto sotto vari aspetti può promuovere una maggiore collaborazione tra lavoratori e amministrazione e alleggerire le pratiche burocratiche.

Il telelavoro segue delle normative ben precise in riferimento all’Accordo Interconfederale del 9 giugno del 2004. Per quanto riguarda lo smart working, attualmente il riferimento è la legge 81 del 22 maggio 2017, in vigore dal giugno 2017, ma in tempi recenti sono stati proposti disegni di legge che riguardano proprio le misure organizzative di questa forma di lavoro.

In pratica, seppur ancora con alcuni punti da chiarire, soprattutto sulla disconnessione dal lavoro (ovvero il diritto di riposo e l’orario lavorativo) e sulla sicurezza, si tratta anch’esso di una prestazione lavorativa regolata da un contratto. Il trattamento economico è lo stesso di chi lavora fisicamente in azienda. L’importante, nello smart working, è raggiungere l’obiettivo prefissato ed è il lavoratore stesso che gestisce in autonomia i tempi e i luoghi del suo lavoro, facendo quindi fronte a una maggiore responsabilità riguardo i risultati.

Benché il trattamento del lavoratore in smart working sia lo stesso di chi lavora in sede e si ritenga si possa trarre da questa forma di lavoro dei vantaggi (minori costi per gli spostamenti e possibilità di gestire le ore lavorative, per esempio), c’è da dire che in genere i “lavoratori smart” lavorano più ore giornaliere rispetto ai loro colleghi. Ciò fa sorgere la domanda se lo smart working favorisca davvero quell’equilibro tra vita lavorativa e vita privata (il cosiddetto “work-life balance”) che sembrerebbe conseguirne. Per contro, da considerare tutti i vantaggi che un’attività svolta da remoto (sia telelavoro sia smart working), che non implica quindi una mobilità, ha rispetto al risparmio energetico, meno congestione del traffico, meno possibilità di incidenti stradali e meno emissioni di gas inquinanti.

Un approccio lavorativo che presuppone quindi un cambiamento culturale, un diverso modo di rivedere gli spazi, i luoghi, il modo di collaborare e di rispondere in modo migliore alla sostenibilità globale, e che questa emergenza ha portato all’attenzione di sempre più aziende e lavoratori, in vista di forme lavorative migliori sotto vari aspetti.