Cos’è Clubhouse

Il 2020 è stato l’anno degli strumenti digitali e della comunicazione da remoto. Ma non solo. Il 2020 è stato anche l’anno dei nuovi social. O meglio, di un nuovo social, arrivato in Italia un anno dopo rispetto agli States e che sta catalizzando tutta l’attenzione su di sé, tanto da essere diventato un qualcosa di tendenza. Tutti pazzi per Clubhouse, ecco quale avrebbe dovuto essere, forse, il titolo di questo post. Tutti o più o meno tutti, perché Clubhouse è un social elitario e un pelino snob, questo bisogna ammetterlo.

Partiamo però dall’inizio: cos’è Clubhouse? Clubhouse è un social dedicato solo ed esclusivamente alla voce. Non ci sono immagini, se non quelle, piccolissime, delle foto profilo dei vari utenti. Non ci si può lasciare messaggi, non si chatta, non esistono like, commenti e tutte quelle altre piccole diavolerie, chiamate anche metriche di vanità, che troviamo negli altri social. Clubhouse è l’evoluzione della radio e dei podcast, strumento che sempre di più sta prendendo piede anche in Italia.

Come funziona Clubhouse

L’abbiamo anticipato all’inizio: Clubhouse è un social elitario, quasi radical chic, oserei dire. Perché? Perché su Clubhouse si accede solo tramite invito di chi è già dentro la community e solo (per ora) solo se sei possessore di un iPhone. Tutti gli altri sono fuori.

Il suo utilizzo è parecchio semplice. Una volta ricevuto l’sms di invito, si scarica la app, si crea un profilo e il gioco è fatto. Se non si trovano anime pie desiderose di regalare inviti (qualcuno li vende, e questo dimostra quanto sia forte il principio del marketing basato sull’esclusività) si può sempre provare a scaricare l’applicazione, sincronizzare i contatti della rubrica e attendere che uno di questi nostri contatti abbia la decenza di farci entrare. Insomma, Clubhouse non è per tutti, ma per tanti sì e lo dimostra anche il gran numero di persone che da gennaio in Italia hanno abbracciato questa novità.

ClubHouse

Cosa c’è esattamente però dentro Clubhouse? Molto semplicemente persone che parlano con altre persone. Clubhouse infatti agisce sulle room, che altro non sono che spazi virtuali in cui dialogare sui più disparati argomenti. Possiamo immaginare le room come dei piccoli programmi radiofonici, nelle quali dibattere su un determinato tema. La room è composta da uno o più moderatori, che sono anche i suoi creatori, dagli speaker, a cui i moderatori hanno dato il diritto di parola, e da una platea di ascoltatori, che alzando semplicemente la mano possono essere portati sul palco dai soliti moderatori. Parola, questa del moderatore, che è diventata cruciale, perché è su di loro che si fonda il funzionamento stesso di Clubhouse. Se, infatti, nelle altre piattaforme troviamo i creator, qui su Clubhouse ci sono i moderatori, le vere star del social della voce, coloro in grado di movimentare le masse e portarle nelle varie room.

E se le room possono essere paragonate a piccoli programmi radiofonici, i club sono invece vere e proprie emittenti radiofoniche, con tanto di palinsesto e di tutta una serie di moderatori, adibiti alle varie room, che assumono il ruolo di conduttori.

Su Clubhouse si può parlare di tutto. Dallo spettacolo (Sanremo ne è stata la prova) ai viaggi. Ma in realtà gli argomenti sono tutti focalizzati sul marketing e sul social media marketing. La maggior parte delle persone che lo utilizzano in questo momento, infatti, sono i cosiddetti early adopters, ovvero coloro che, prima di tutti, fanno uso di nuove tecnologie prima che diventino di massa. E tutti questi early adopters sono persone che lavorano nel marketing o che hanno a che fare con il marketing per la propria attività. Un po’ monotematico? Forse, ma Clubhouse, più di Instagram o Facebook, mette l’accento sulla vera essenza delle persone e sulle loro competenze. Il fatto che l’immagine non entri in questo nuovo circuito mediatico spinge l’attenzione sui contenuti in senso stretto.

Credo che in qualche modo Clubhouse sia figlio del distanziamento sociale e della nuova vita alla quale la pandemia ci ha abituati. Il bisogno di essere connessi con altri esseri umani, la necessità di parlare con qualcuno e di farlo anche in pigiama stravaccati sul divano. Elementi che hanno reso possibile la creazione di Clubhouse e che lo fanno apparire come irresistibile. Non so quali saranno i suoi sviluppi, se diventerà più popolare e democratico, se introdurrà qualche forma di monetizzazione per il business, ma quel che è certo è che in questo momento sembra essere l’unico social in grado di creare davvero connessioni personali e lavorative. Una sorta di LinkedIn del futuro, ma più immediato, sincero e diretto. Da usare con le dovute accortezze, però. Perché Clubhouse ha lo svantaggio di diventare una droga a cui è difficile rinunciare. E rischia di plasmare ancora di più la solitudine di cui si è colorata la nostra vita.

Giulia Salis