Cosa del Blue Whale è vero e cosa è una bufala

Due parole, Blue Whale. Le abbiamo sentite nominare tutti. Le abbiamo lette sui giornali, sui social, sulle chat di WhatsApp, ascoltate alla radio e al telegiornale.

Si tratta di un gioco un po’ incomprensibile, un gioco pericoloso, che avrebbe come conclusione il suicidio. Un gioco macabro e misterioso, che, proprio per queste sue caratteristiche, crea una curiosità quasi morbosa che spinge alla condivisione di massa le notizie che ne parlano, creando panico ed isteria collettiva.

Vanno in onda i primi servizi televisivi ed ecco che se ne parla dappertutto. La storia deve essere per forza vera, ci sono le testimonianze, lo dicono anche in televisione. In un clima di panico le notizie continuano a circolare, raddoppiare e ad essere condivise in maniera convulsa. Il Blue Whale diventa un caso mediatico.

Ma cosa c’è di vero?

blue whale

Blue Whale: cos’è

Il Blue Whale, letteralmente balena azzurra, sarebbe un gioco di ruolo dove il partecipante viene guidato giornalmente da un master a compiere delle sfide di coraggio, molto pericolose, per 50 giorni, allo scadere dei quali il percorso si concluderebbe con il suicidio del giocatore.

Tutto nasce in Russia a seguito di un’inchiesta portata avanti dalla giornalista Galina Mursalieva, in cui indagava sulle morti per suicidio di 130 giovani tra il 2015 e il 2016. Il reportage riporta alcune testimonianze dei genitori di questi ragazzi e crea un nesso tra la partecipazione ad alcuni gruppi di VK, noto Social Network russo, chiamati gruppi della morte, e il loro suicidio. Iniziano le prime congetture sul gioco Blue Whale.

All’indomani della sua pubblicazione l’articolo, uscito nella rivista russa indipendente Novaya Gazeta, viene ampiamente criticato per essere troppo emotivo e superficiale. L’accusa è quella di non essere andati a fondo alla vicenda, di aver ascoltato solo il racconto dei genitori e non aver portato nessuna prova a favore dell’esistenza del gioco.

Le inchieste giornalistiche sull’argomento continuano e da queste prendono spunto le indagini della polizia, che portano all’arresto dell’amministratore di diversi gruppi su VK, il 21 enne Philipp Budeykin, per istigazione al suicidio di 15 ragazzi. Una cifra, come si può notare, completamente ridimensionata, rispetto alle 130 morti di cui si parlava nella prima inchiesta.

La vicenda sembra così conclusa, anche se c’è chi critica aspramente tutta la faccenda e la archivia come un pretesto ben orchestrato per dare un giro di vita alla già ben poco cristallina libertà di accesso ad internet in Russia. Sembrerebbe comunque un problema relegato ai confini dell’Ex Unione Sovietica. Ma così non è. La teoria sul gioco Blue Whale ha già fatto il giro del mondo e il meccanismo di diffusione senza criterio è già scattato.

Il caso Blue Whale in Italia

In Italia la notizia del Blue Whale viene inizialmente riportata dai principali media, senza suscitare troppo scalpore. Nel resto del mondo viene citata da giornali famosi in modo talvolta un po’ leggero. Si tratta chiaramente di un argomento “acchiappa visualizzazioni”.

La storia comunque sembra confinata in quel limbo giornalistico poco serio, dove rimbalza ogni tanto, senza però il vero supporto di prove fattuali o di conferme ufficiali.

E sarebbe rimasta tale, se il caso non fosse arrivato alla ribalta televisiva grazie al programma televisivo de Le Iene. La trasmissione ha mandato in onda una serie di video falsi, per stessa ammissione dell’autore, che ha affermato di non aver controllato le sue fonti e la loro veridicità.

Il risultato è stato un servizio tendenzioso, creato a tavolino, che mette in campo ancora una volta l’emotività dei genitori russi e notizie non verificate. Insomma la realtà dei fatti è che anche in questo caso non è stato trovato un nesso tra i suicidi e l’esistenza del gioco. Sono numerosi i siti che si occupano di debunking che mettono in dubbio l’esistenza stessa del Blue Whale come gioco. Quello messo in onda dalle Iene è risultato essere un’inchiesta fuorviante, che ha fatto però leva sulle problematiche esistenziali e genitoriali e ha trovato campo fertile per la sua diffusione. Per questo motivo in poco tempo in Italia è scattata la mania collettiva.

La verità dei fatti

Come si legge dall’inchiesta consultabile nel sito web La Valigia Blu, in seguito alla messa in ondata del servizio delle Iene, Google ha registrato un boom di ricerche per le parole chiave Blue Whale.

In poco tempo le denunce di possibili adolescenti coinvolti nel macabro gioco sono arrivate a 120. Nel giro di poco tempo, la Polizia Postale ha diramato un comunicato in cui si elargiscono consigli ai genitori per monitorare il comportamento dei figli, dando una sorta di conferma all’esistenza del gioco.

Si parla di vero e proprio panico da psicosi, scaturito da una notizia che di per sé è priva di fondamento. Non ci sono prove reali che questo gioco sia mai esistito e che abbia un ruolo nel gran numero di suicidi registrato in Russia, dove il problema esiste da tempo ed è un problema di tipo sociale.

Ma una cosa reale c’è. Ed è il danno provocato e il meccanismo di paura incontrollata, che il panico che ha innescato. Non ci si riferisce solo al panico generato tra i tantissimi genitori di adolescenti, che probabilmente si stanno ancora chiedendo se il comportamento particolare del loro figlio tredicenne sia dovuto alla partecipazione a questo spaventoso gioco, ma anche al fatto più grave, che riguarda il mettere in relazione il suicidio con gli adolescenti, senza filtrare in qualche modo il messaggio.

Il rischio emulazione è dietro l’angolo. Il fenomeno del Copycat afferma che parlare di suicidio nei media possa incoraggiare, chi si senta particolarmente vulnerabile, a compiere lo stesso gesto. E questo è solo un esempio del danno che si può fare mettendo in piazza un tipo di giornalismo sensazionalistico e poco chiaro, che si nutre di paure e cresce nel sordido.

Monica Curreli

[E’ in corso il processo relativo al primo e unico caso di Blue Whale accertato a Milano. Qui l’Ansa in merito.]